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Oggettivamente, il temuto panico sui mercati conseguente alla caduta del governo Draghi, almeno per ora, non si è manifestato. Infatti, da una parte, il rendimento dei nostri BTP decennali, pur aumentato in maniera consistente, non ha raggiunto livelli preoccupanti. Dall’altra, lo spread rispetto ai bund tedeschi, pur muovendosi intorno a quota 250 bp, non ha scatenato alcun “panic selling”.

Parallelamente, i dati Istat relativi al secondo trimestre 2022 indicano per l’Italia un Pil ancora in crescita (+1%), migliore delle aspettative e superiore alla media dell’Eurozona (+0,7%). Anche l’export dà ancora segnali confortanti essendo aumentato in volumi, nel primo semestre 2022, del 2%.

Dunque, i pericoli per la nostra economia sono definitivamente evaporati? Verosimilmente no. Infatti, qualora la maggioranza espressa dalle elezioni (qualunque essa sia) dovesse dimostrarsi divisa e litigiosa, la conseguente instabilità politica metterebbe a serio rischio la tenuta stessa della nostra economia. E l’Italia diverrebbe più vulnerabile, sia sul fronte interno, che su quello esterno. Sul fronte interno un periodo di instabilità politica potrebbe rallentare o rendere impossibile la messa a terra del nostro Pnrr nei tempi e nei modi concordati con la Commissione Europea.

In questo caso, da una parte, tutto il “debito buono” fatto per finanziare i programmi del Pnrr verrebbe percepito subito dagli investitori esteri come “debito cattivo” e si potrebbe innescare una ondata di vendite sui nostri titoli. Dall’altra, l’inevitabile aumento dei rendimenti sui BTP farebbe lievitare la spesa per interessi su debito sottraendo così preziose risorse agli investimenti produttivi. Parallelamente, sul fronte esterno l’instabilità politica genererebbe  una  maggiore vulnerabilità dell’Italia a fronte del manifestarsi di  eventuali shock esogeni al di fuori del nostro controllo (tensioni Usa – Cina, incognita Taiwan, blocco totale del gas russo, ecc.).

Il problema è che il descritto mix di vulnerabilità interna ed esterna potrebbe generare, in presenza di un evento scatenante (“evento trigger”), una crisi di sfiducia generalizzata sulla capacità del nostro Paese di fronteggiare uno scenario caratterizzato da un insieme di “emergenze multiple”. E questo, ovviamente, innescherebbe la speculazione e metterebbe sotto pressione il nostro spread fino a spingerlo verso quote non sostenibili. Il rischio sarebbe, dunque, quello di ritrovarsi in uno scenario simile a quello del Novembre 2011 quando il Sentiment dei mercati (il Fattore S), ossia le paure, le ansie, le elucubrazioni dei mercati, prese il sopravvento sui dati reali della nostra economia. Le conseguenze furono allora uno spread schizzato a 575 BP ed un rendimento dei nostri BTP a 10 anni volato oltre la soglia limite del 7%. Con la differenza, non trascurabile, che oggi non abbiamo più Draghi alla Bce a sostenerci.

Oltretutto, non bisognerebbe mai scordarsi della legge di Murphy che ci ricorda che “dentro ogni grande problema ce ne è uno più piccolo che sta lottando per venire fuori”. Infatti, l’instabilità politica non solo può generare, come detto, una crisi di sfiducia generalizzata, ma è anche in grado di rendere inefficace lo scudo anti spread alzato dalla Bce per proteggere i Paesi da attacchi speculativi non giustificati dai dati economici reali. Più in particolare, l’attivazione di questo strumento è sottoposto, tra le altre, a due condizionalità che potrebbero toccarci da vicino.

La prima riguarda il  rispetto degli impegni presi con la Commissione in tema di attuazione del Pnrr. La seconda riguarda, invece,  la sostenibilità del debito pubblico del Paese “sotto attacco”. È evidente che la cattiva politica è in grado di incidere negativamente su ambedue queste condizionalità. Da una parte, potrebbe essere tentata di rinegoziare con la Commissione la messa a terra del Pnrr o di bloccare qualche riforma considerata scomoda  (delega fiscale, riforma del catasto ecc.) anche a costo di perdere ogni credibilità. Dall’altra, potrebbe cedere alla tentazione di  varare una sequenza di scostamenti di bilancio per far fronte a improbabili promesse elettorali. E poiché la sostenibilità di un debito pubblico viene misurata sulla base delle Tre c (cifra, intesa come importo del debito, crescita e conti pubblici), ne discende che, a fronte di una “finanza allegra”, la Bce potrebbe ritenere non attivabile lo scudo anche a fronte di attacchi speculativi contro il nostro Paese. Il tutto con conseguenze per le nostre Pmi e le nostre banche del tutto imponderabili. E allora, è bene che i nostri politici si muovano tenendo sempre ben presente che lo scudo anti spread della Bce forse ci può proteggere dagli attacchi esterni, ma certo non ci può proteggere da noi stessi e da nostri eventuali comportamenti insensati.

 

 

L’instabilità politica può abbassare lo scudo anti-spread della Bce

È bene che i nostri politici si muovano tenendo sempre ben presente che lo scudo anti spread della Bce forse ci può proteggere dagli attacchi esterni, ma certo non ci può proteggere da noi stessi e da nostri eventuali comportamenti. Il commento di Andrea Ferretti, docente al master in Scienze Economiche e Bancarie alla Luiss Guido Carli

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