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Commozione al Palazzo di Planalto. Con le lacrime agli occhi Lula ha giurato per dare inizio al suo terzo mandato presidenziale in una Brasilia nemmeno troppo affollata dai suoi sostenitori. Sarà stata colpa del caldo torrido o forse delle minacce, neanche troppo velate, lanciate dai suoi avversari più agguerriti. I più irriducibili tra i supporter di Bolsonaro avevano infatti promesso di usare ogni mezzo per impedire a Lula di assumere la sua carica, mentre il presidente uscente, emulando il modello trumpiano, si è ben guardato dal partecipare alla cerimonia del 1 gennaio nella capitale brasiliana. La fascia presidenziale è stata così consegnata a Lula da alcuni rappresentanti del popolo, tra quali un capo indigeno, un portatore di disabilità, una ragazzino delle favelas, una giovane nera. Un simbolico momento di inclusione che ha preceduto il lungo discorso del fondatore del Partito dei lavoratori. Un discorso che proprio nell’inclusione ha trovato la sua parola chiave.

Dopo aver rivendicato i successi raggiunti nei suoi precedenti mandati (dal 2003 al 2011) ha accusato il suo predecessore di avere divelto i programmi scoiali come Fame Zero e Borsa Famiglia e ha promesso che la sua preoccupazione principale sarà quella di sottrarre i più poveri dalla miseria e di dare nuovo respiro a una classe media sempre più sotto pressione. “Non è possibile che pochi brasiliani facciano la fila per acquistare automobili importate, mentre un esercito di persone deve rovistare tra i rifiuti per procurarsi qualcosa da mangiare”, ha detto. Ogni forza sarà quindi in campo per ridare speranza a chi vede svanire ogni prospettiva futura. A chi ha dovuto subire più duramente gli effetti, anche economici, della pandemia, la cui gestione da parte di Bolsonaro è stata equiparata a un genocidio.

Si volta pagina dunque e i prossimi quattro anni costituiranno un duro banco di prova per un Lula già anziano e alle prese con qualche acciacco. Mantenere gli impegni solennemente assunti a Brasilia non sarà facile, anche perché sarà necessario trovare quella sottilissima linea di equilibrio fiscale per evitare che gli interventi sociali sommergano il paese di debito pubblico e, conseguentemente, di nuove imposte. Ma il coraggio e la voglia di affrontare nuove sfide non mancano a Lula, anche se, a ben guardare, il nuovo presidente avrebbe potuto fare un accenno allo scandalo di corruzione che ha inimicato metà della popolazione brasiliana a lui e al suo partito. Tra le tante promesse fatte, avrebbe potuto forse rivolgersi ai suoi detrattori, assicurando che la corruzione sarà combattuta attraverso una stretta vigilanza. Ma così non è stato, anche se c’è da scommettere che certe storture, che tanto sono costate in termini di credibilità, non saranno più tollerate.

Con la nuova presidenza Lula, il Brasile esce finalmente da un certo isolamento internazionale nel quale era stato relegato durante l’amministrazione Bolsonaro. In questo senso va infatti letta la massiccia partecipazione di capi di Stato e di governo alla cerimonia che per l’ultima volta ha avuto luogo il primo giorno dell’anno. Le velate proteste della diplomazia mondiale, che non vede di buon occhio trasferte a capodanno, hanno infatti indotto le istituzioni brasiliane a posticipare la cerimonia di insediamento, che in futuro, avrà luogo il 5 gennaio. Ma, nonostante i disagi della data, a rendere omaggio al presidente operaio c’erano tutti i capi di stato sudamericani e alcune figure iconiche, come l’ex presidente dell’Uruguay, José Mujica, c’erano il vicepresidente cinese, il re di Spagna e il presidente del Portogallo. Il desiderio è quello di dare avvio a una nuova stagione di cooperazione multilaterale che potrebbe trovare la sua espressione migliore nella salvaguardia dell’Amazzonia, nella quale, ha promesso Lula, sarà immediatamente bloccata la deforestazione, mentre verranno offerte nuove garanzie alle popolazioni indigene.

La sfida più impegnativa che attende il presidente in questo suo terzo mandato sarà comunque quella di riconciliare una popolazione profondamente divisa. Il Brasile era e resta un enorme Paese estremamente polarizzato. Ma, in una prospettiva diversa, si può senz’altro affermare che la politica aggressiva e violentemente populista di Bolsonaro non ha pagato. L’ex capitano dell’esercito è stato infatti il primo presidente della storia brasiliana a non essere rieletto (esclusi quelli che sono stati sollevati dall’incarico). Come nel caso di Trump, è questa la prova che una prassi politica incentrata sul discredito dell’avversario e sulla creazione di inimicizie per favorire un senso di appartenenza potranno anche avere qualche ritorno in termini elettorali, ma alla lunga dimostrano tutta la loro futilità e la loro debolezza. Le persone non hanno bisogno di nemici da odiare e da combattere, hanno bisogno di speranza nel futuro.

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