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Come la perenne rinascita della speranza, il destino della Nato e del principio di difesa della democrazia ha attraversato in pochi mesi una sorprendente metamorfosi. Sono passati soltanto tre anni da quando il Presidente francese Emmanuel Macron, nel novembre del 2019, in una intervista al settimanale The Economist definì l’Alleanza Atlantica “ Una scatola vuota, un organismo in stato di morte”.

Invece a Madrid, sulla spinta dello shock e dello sdegno provocato dalla feroce invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, gli ideali fondanti dell’Alleanza sono ulteriormente lievitati fino a ridefinire le linee strategiche e le priorità per i prossimi anni. Con in primo piano l’aspro confronto con Mosca e Pechino, all’instabilità del Mediterraneo e dell’Africa, in un contesto geopolitico globale in forte mutamento: dalla minaccia della Russia all’espansione dell’Alleanza a Svezia e Finlandia, dai rapporti transatlantici alle contese multipolari.

Come sosteneva il filosofo della società liquida, Zigmunt Bauman, il concetto della rinascita, di cambiare vita, diventa un valore che sostituisce quello della continuità e della fedeltà a sé e agli altri.

“È la formula del successo e dell’efficacia di un’organizzazione difensiva che, in 73 anni di storia, – ha ricordato il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini – ha saputo rinnovarsi mantenendo intatta la sua missione: difendere i propri membri dalle minacce esterne, senza costituire una minaccia per altri”

Il summit di Madrid ha ridefinito in profondità l’assetto della Nato, che vede adesso la Russia come la principale minaccia per l’ordine mondiale, prima ancora della Cina, che rimane comunque una inquietante minaccia, e rafforza notevolmente la capacità difensiva e di deterrenza dei Paesi membri.

Il filo conduttore della metamorfosi dell’Alleanza, assieme al baricentro dell’Ucraina è quello del fianco Sud: Mediterraneo, Libia, Maghreb e Africa. Una strategia per il fianco sud che rilancia il ruolo di protagonista dell’Italia, soprattutto in Libia.

In Ucraina, sul lungo fronte sud del Donbass assediato e dilaniato dall’armata russa, il the day after della Nato è già iniziato con l’invio di sofisticati sistemi missilistici di precisione e a lancio multiplo, inglesi e americani e con interi arsenali di sistemi d’arma comprendenti lanciamissili, carri armati, droni d’attacco e veicoli corazzati. “Quella in Ucraina” – ha spiegato all’Agenzia Nova Generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore – “è una guerra convenzionale con un massiccio uso di fanteria, artiglieria e carri armati. Di conseguenza, il consumo dei mezzi è enorme”.

Secondo il rapporto “The Military Balance” pubblicato dall’International Institute for Strategic Studies britannico, nessuno dei principali eserciti europei (Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Grecia, Polonia e Spagna) ha tuttavia mediamente a disposizione più di 200 carri armati da combattimento all’avanguardia (main battle tank- Mbt). Mentre abbondano i mezzi e sistemi d’arma “fuori produzione” apparentemente tecnologicamente superati, ma ancora efficienti ed efficaci. Gli Stati Uniti e Regno Unito hanno invece disponibilità molto superiori e all’avanguardia ed avrebbero intensificato con dei ponti aerei segreti e notturni la consegna di armamenti a Kiev.

Nelle ultime settimane le forze britanniche hanno inoltre addestrato all’utilizzo dei sistemi Mlrs centinaia di militari ucraini in un campo situato nella contea del Wiltshire, nel sud ovest dell’Inghilterra. Inoltre, Londra ha acquistato 50 obici L119 (con una gittata da 12 chilometri) da donare all’Ucraina, non attingendo direttamente alle sue riserve. Si tratta però ancora di una quantità limitata delle forniture giudicate necessarie dalle autorità di Kiev, per passare alla controffensiva e sopperire all’alta incidenza delle perdite a cui è sottoposto attualmente l’esercito ucraino. Fuori dai bilanci ufficiali resta il massiccio apporto alla resistenza ucraina dell’intelligence Usa , Inglese e dei paesi europei. Un’incidenza che potrà essere disvelata e valuta soltanto fra diversi anni. Mentre l’offensiva delle truppe di Mosca sembra essersi ormai esaurita, i missili che hanno colpito Odessa provocando 20 morti, fra i quali anche due bambini, e una quarantina di feriti, secondo gli analisti sarebbero la conferma, che la Russia ha cambiato strategia, bombardando obiettivi civili in modo più deliberato e massiccio rispetto alla prima parte della guerra.

Anche il ritiro dei russi dall’Isola dei Serpenti, una posizione strategica nel Mar Nero conquistata fin dall’inizio dell’invasione e sotto attacco dei bombardamenti ucraini da settimane, è da valutare come la prova delle difficoltà crescenti dell’esercito moscovita. L’abbandono dell’importante base è stato provocato dall’isolamento della guarnigione e dalla sua crescente vulnerabilità agli attacchi ucraini che hanno affondato diverse navi e imbarcazioni russe che tentavano di rifornire l’isola.

Mentre la guerra infuria e devasta le città ucraine, a Lugano da lunedì a martedì si svolgerà la prima conferenza sulla ricostruzione. Programmata in anticipo, nel timore purtroppo fondato, che la Russia scatenasse l’invasione, la conferenza di Lugano riunisce le istituzioni internazionali e il settore privato che si incontreranno in Svizzera con l’obiettivo di redigere una sorta di “Piano Marshall”, lo storico programma di aiuti finanziari e alimentari degli Stati Uniti che consentirono la ricostruzione dell’Europa devastata dalla seconda guerra mondiale. Nelle intenzioni degli organizzatori, il meeting che darà a Kiev l’opportunità di condividere il piano di ripresa, dovrebbe concludersi con una dichiarazione congiunta su priorità, metodi e principi.

Assieme al Presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, che interverrà in videoconferenza, saranno rappresentati 38 Paese, otto governi, 15 ministeri, 14 organizzazioni, 350 esponenti del settore privato e 210 della società civile. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha confermato la sua presenza, così come i capi di governo di Lituania, Polonia e Repubblica Ceca. Un modo per “lanciare” la speranza della pace oltre l’orrore del muro della guerra.

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