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“Ai bordi del caos” penso possa essere la collocazione della cultura dell’intelligence nel nostro Paese in questa fase storica. Infatti, l’intelligence è un fenomeno sociale che va contestualizzato nel contesto culturale, in un periodo di profonde trasformazioni, paragonabili al passaggio tra l’uomo di Neanderthal e l’uomo Sapiens, come effetto inevitabile dell’ibridazione tra uomo e macchina. Si tratta di cambiamenti sconvolgenti perché stiamo vivendo contemporaneamente in tre dimensioni differenti: quella fisica, quella virtuale e quella ibridata tra uomo e macchina.

Oggi è estremamente difficile, per una società organizzata soltanto sulla dimensione fisica, individuare le parole, i concetti culturali e le categorie mentali per descrivere la realtà che ci circonda. Non a caso, le parole sono “atti di identità” che dimostrano qual è il nostro universo mentale e poi sono indispensabili per fare prendere corpo alla realtà. E se riflettiamo con attenzione, anche l’odierna debolezza educativa condiziona direttamente la sicurezza nazionale.

Con il termine “Intelligence” si descrivono tre diversi ambiti: il primo è un apparato dello Stato, il secondo è un metodo della trattazione delle informazioni e, infine, rappresenta il complesso delle funzioni che utilizza la raccolta, l’analisi e l’utilizzo delle informazioni come base di ogni processo decisionale.

Pertanto, l’intelligence può essere considerata come una contemporanea “necessità sociale”, per comprendere la “società della disinformazione”, caratterizzata dalla dismisura dell’informazione e dal basso livello di istruzione dei cittadini., creando un “corto circuito cognitivo” che allontana dalla comprensione della realtà.

Non a caso, la disinformazione si potrebbe considerare come l’emergenza democratica ed educativa del nostro tempo, soprattutto per un Paese come l’Italia che presenta un alto tasso di analfabetismo funzionale, in cui la carenza culturale deve fare profondamente interrogare sulla reale natura della democrazia.

Tutto questo incide sulla sicurezza, che rappresenta il “bene costituzionale preminente”, come definito nella sentenza della Corte Costituzionale 86/1977, che ha determinato la prima regolamentazione dell’intelligence nel nostro Paese.

La percezione dell’intelligence, secondo me, ha registrato a livello globale una profonda trasformazione culturale dal gennaio del 2015 dopo l’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi: da allora l’intelligence da luogo oscuro dello Stato viene considerato come uno strumento fondamentale per difendere le democrazie dal terrore.

L’intelligence è, quindi, uno strumento fondamentale per comprendere la realtà, individuando le informazioni rilevanti per limitare la disinformazione e la manipolazione, in un periodo in cui il disagio sociale aumenta, anche a causa dello scontro in atto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, riguardo alla quale non è stata ancora maturata una adeguata consapevolezza sulle conseguenze del suo incontrollato sviluppo.

Va ricordato che la conoscenza delle informazioni ha da sempre rappresentato una discriminante essenziale per la sopravvivenza degli esseri umani ed è ancora più importante oggi cogliere i segnali deboli, molto meno visibili dei segnali forti, che però spesso non aiutano a comprendere l’essenza autentica dei fenomeni. L’intelligence, pertanto, va inquadrata nella sua autentica natura che è quella culturale,

E nell’ambito di questa dimensione, si colloca l’affermazione del capo dell’intelligence tedesca Eckart Werthebach secondo il quale “il XXI secolo sarà distinto da una lotta senza quartiere tra stati legali e i poteri criminali”.

Infatti, la globalizzazione ha creato asimmetrie profonde tra Stati democratici e “antistati”, ovvero le multinazionali finanziarie e le organizzazioni del crimine e del terrore.

Gli stati, che sono caratterizzati da apparati burocratici, soggiacciono inevitabilmente a regole che ne limitano la velocità e l’efficienza, contrariamente alle organizzazioni che non si fondano sul rispetto delle leggi e pertanto non hanno alcuna limitazione, non hanno imposizioni di natura territoriale, non hanno limitate risorse finanziarie e, soprattutto, selezionano le proprie élite per cooptazione in base al merito e alle qualità individuali, elementi determinanti per la sopravvivenza delle rispettive organizzazioni. Osservo che nel giugno di quest’anno Roberto Saviano ha evidenziato in un articolo sulla stampa che “la mafia premia il merito, il Paese no”.

Si potrebbe prospettare che il dominio del mondo potrebbe presto avvenire non più attraverso le tradizionali categorie teoriche offerte dalla geopolitica, che spaziano dal controllo del mare, del centro del mondo identificato con l’Asia Centrale, dell’aria e dello spazio. Infatti, oggi, tramite gli algoritmi del cyberspazio, il campo di battaglia è diventato la mente delle persone, essendo prossima la possibilità di collegamento a internet per la totalità della popolazione mondiale già intorno al 2030.

Le prossime guerre saranno di natura economica e culturale, mentre l’obiettivo del “capitalismo della sorveglianza” è già la manipolazione dei consumatori, nella incombente dimensione digitale dove diventano indistinguibili non solo “vero e falso” ma anche “legale e illegale”.

In uno scenario di crisi della democrazia e di trasformazione del potere, l’intelligence può essere considerata l’essenza del deep state, dello stato profondo, rappresentando la continuità e la stabilità delle istituzioni democratiche, prescindendo dalle cangianti maggioranze parlamentari.

In tale quadro, è proprio l’intelligence che può difendere la democrazia da sé stessa e dalle sue degenerazioni, come aveva già spiegato Aristotele nel quarto secolo avanti Cristo.

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