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Mettere un tetto al prezzo del gas è una mossa che può aiutare l’industria italiana a sopravvivere a una crisi energetica dalle dimensioni spaventose. Eppure, non è così facile come sembra. Serve, insomma, del tempo. Nel mentre sarebbe molto più saggio agire sull’elettricità, quella prodotta da fonti alternative al metano.

Giuseppe Zollino, professore all’Università di Padova di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari, è candidato del Terzo Polo a Torino alla Camera per il Piemonte ed è da poche ore stato nominato in Azione Responsabile Energia ed Ambiente. E a Formiche.net spiega come e perché per fermare il maelstrom dei prezzi si debba pensare bene quali tasti toccare.

Le imprese boccheggiano. E la proposta di mettere un tetto al gas prende lentamente corpo. Strada giusta?

Il problema del gas è più complesso di quanto non sembri. Se si decide di intervenire sul prezzo, quello della Borsa di Amsterdam per intenderci, dovremmo sapere quanto effettivamente pagano il gas gli operatori che lo vendono sul mercato. E andrebbe fatto in sede europea, su questo non ci piove. Mi spiego, se noi andiamo a toccare il prezzo in Italia, il rischio è che sparisca il gas stesso dal momento che gli operatori lo andrebbero a vendere altrove. E di certo non possiamo permetterci di rimanere senza metano. Per questo dico che la decisione di mettere un price cap è giusta ma va ben ponderata.

Se le chiedessi una ricetta per abbassare tempestivamente il prezzo del gas?

Le risponderei che l’unica possibilità è sì un price cap, ma in ambito europeo, verificando però come detto quanto gli operatori stanno pagando il gas, per il discorso che facevo prima. Se si mette un tetto, lo deve mettere l’Europa e mi creda non sarà nemmeno un’operazione tanto immediata.

Di certo non si può continuare mantenendo un simile livello di prezzo. Nel lungo termine sarebbe una catastrofe. Anche perché la transizione energetica richiede anni…

Certamente è indispensabile che il governo intervenga, come sta già facendo, in aiuto delle famiglie e delle aziende più in difficoltà. Quanto al resto, lasciarci alle spalle i combustibili fossili richiede tempo, perché bisogna sostituire le tecnologie sul lato offerta ma anche sul lato domanda. Per esempio, coi prezzi del metano di questi giorni, un chilo di idrogeno verde (cioè prodotto da fonti rinnovabili) costerebbe meno del metano equivalente, ma nessuna azienda che produce ceramica dispone oggi di forni a idrogeno. Questo per dirle che un conto è puntare alla diversificazione delle fonti e dei vettori energetici (elettrificazione, idrogeno), un altro è dispiegare tutte le tecnologie che si adattino al cambiamento, anche sul versante della domanda.

Rimanendo in scia alla questione del gas, l’Italia sotto i suoi mari ne ha parecchio, eppure non lo ha estratto a dovere finora. Ci sarebbe servito e invece… Il caso Ombrina è recente.

Guardi che se noi andiamo a vedere quello che è successo negli ultimi venti anni, scopriamo che in Italia il consumo di gas tra il 2002 e il 2022 non è cambiato, mentre l’estrazione è diminuita di 5 volte. Comprendere le cause di queste scelte sciagurate, ricordiamoci i movimenti no triv, serve a non ripetere oggi gli stessi errori. Disporre oggi di 15 miliardi di metri cubi nazionali, tanti se ne estraevano a inizio 2000,  ci aiuterebbe moltissimo, non solo sul prezzo, ma soprattutto nella strategia. Scelte irrazionali, ricordiamolo, si pagano sempre carissime, specie nell’energia.

In Italia si parla in questi giorni di disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità non prodotta da gas dal prezzo del metano. Che ne pensa?

Ecco, questo è un intervento da fare subito, scegliendo lo strumento di più immediata attuazione, fosse anche un intervento a piedi uniti. Slegare il prezzo di tutta l’energia elettrica non generata da impianti a gas, dunque quella da rinnovabili e a carbone, dal prezzo di mercato del gas non è più rinviabile. Geotermico, idroelettrico, eolico, biomasse, carbone, solare, non c’entrano nulla col gas. L’elettricità prodotta con un impianto idroelettrico costa 20-25 euro a megavattora (mille chilovattora) ma oggi era ceduta in borsa a 720. E questo solo perché il prezzo del gas oggi era 320 euro a megavattora e 13 mesi fa 10 volte meno. Così non va bene.

Tetto al prezzo del gas, ma non solo. Come evitare il black out secondo Zollino (Azione)

Intervista al docente, candidato in Piemonte per il Terzo Polo e responsabile Energia e Ambiente per Azione. Il price cap è quello che serve ma solo se discusso e approvato in sede europea, altrimenti l’Italia rischia di rimanere senza gas. Abbiamo tanta energia nel sottosuolo, non estrarla è stata irrazionalità pura. Ora bisogna svincolare il prezzo dell’elettricità prodotta da fonti pulite da quello del metano

 

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