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La lunga stagione delle elezioni di Midterm si è finalmente conclusa. Come già nel 2020, il ballottaggio in Georgia ha incoronato Raphael Warnock, dando ai democratici la maggioranza 51-49 in senato, che compensa in gran parte la sconfitta di misura alla camera (213-221, con 10 seggi passati di mano). Non c’è stato lo tsunami repubblicano, temuto o annunciato che fosse, ed anzi nel campo democratico c’è già chi pensa che senza alcuni errori – in particolare nello stato di New York, roccaforte del partito – sarebbe stato possibile pareggiare o vincere di misura. Può darsi, ma poiché è impossibile tornare indietro sarà forse utile soffermarsi sull’analisi dei risultati reali anziché sui sogni.

Al primo posto c’è la buona notizia che in Georgia – e per estensione, negli USA – la democrazia funziona ancora. Non perché anch’io avrei votato Warnock (però diciamolo: sì, lo avrei votato), quanto perché la Georgia è uno stato “viola”, in cui i due partiti si contendono la vittoria all’ultimo voto. Come già nel 2018, nella stessa tornata elettorale, la candidata governatore Stacey Abrams è stata sconfitta dal repubblicano Brian Kemp. Come nel 2018, tutti gli sconfitti hanno ammesso di aver perso, senza contestazioni o moti di piazza. E qui sta il punto: in democrazia, come sui campi sportivi, l’accettazione del risultato e il riconoscimento dell’avversario sono condizioni essenziali perché il sistema funzioni.

Seconda considerazione: anche in quest’epoca di iperpolarizzazione e di estremizzazione trainata dai social, le persone e la loro credibilità contano ancora moltissimo. Trump aveva fortemente voluto l’ex campione di football Herschel Walker riportare la scelta al puro ambito ideologico annullando la variabile razziale. Nel 2020 Warnock era diventato appena l’11° senatore di colore sui 2.000 dalla nascita degli USA e il primo in assoluto eletto in uno stato ex confederato. Ma a Walker non è bastato l’essere nero come Warnock per spaccare il campo avversario e trasformare la celebrità in voti. Sulla scelta hanno pesato di più il suo vivere da decenni in Texas, il contrasto tra posizioni pubbliche (contrarietà all’aborto) e comportamenti privati (interruzioni di gravidanza pagate a diverse donne), la reputazione di essere manesco (in particolare con le amanti), e via andando. Più Walker parlava, più sciocchezze diceva, al punto che alla fine gli spot di Warnock consistevano in montaggi di dichiarazioni imbarazzanti dell’avversario.

Terzo punto: se il candidato non funziona, è inutile cambiare le regole. Pur avendo difeso con le unghie e con i denti il risultato del novembre 2020 dai tentativi di manipolazione di Trump, per contrastare gli avversari i repubblicani in Georgia avevano comunque cambiato le regole del voto (che, lo ricordiamo, in USA dipendono dai singoli stati). Tra le altre cose, era stato reso più difficile il voto postale ed era stato introdotto il divieto di “registrazione al voto” (cioè l’iscrizione nelle liste elettorali) tra il primo turno e l’eventuale ballottaggio. Non è servito a nulla. Al momento in cui scriviamo, il vantaggio di Warnock su Walker è di centomila voti (3% dei voti espressi), circa il triplo del primo turno.

A livello nazionale, la prima conseguenza della vittoria di Warnock è il rafforzamento operativo dell’amministrazione Biden. Il senato diviso 50-50 del 2020 poteva essere superato con il voto della vicepresidente Kamala Harris, che però non poteva ribaltare il voto contrario o l’astensione dei due senatori democratici ultramoderati. Il margine di due voti permetterà ora ai democratici maggiori margini di manovra e persino qualche prova di forza. In più, quest’anno Warnock è stato eletto per un mandato intero, blindando il seggio per sei anni.

La seconda conseguenza – quella più sottolineata dagli analisti politici – riguarda il fatto che l’approvazione di Trump non equivale alla garanzia di vittoria. Come Walker, sono stati sconfitti anche altri non politici da lui imposti al partito, prima fra tutti Mehmet Oz in Pennsylvania, dove pure il democratico John Fetterman sembrava azzoppato dai problemi di salute. Invece no. Resta da vedere, naturalmente, se e quando i politici repubblicani vorranno liberarsi della zavorra trumpiana, dalle pendenze giudiziarie (martedì a New York è arrivata la prima condanna per frode fiscale, per ora alle sue società e non alla persona) all’esibita frequentazione di antisemiti e suprematisti bianchi quali Ye/Kanye West e Nick Fuentes.

La terza è il cambiamento della geografia politica (che non è geopolitica!) degli USA. Nei giorni scorsi il presidente Joe Biden, sempre più vicino a dichiarare la  propria candidatura per il 2024, ha proposto al partito democratico di cambiare l’ordine delle primarie. Tra 14 mesi ad aprire le danze non dovrebbero più essere Iowa e New Hampshire, ma South Carolina, Nevada, New Hampshire, Georgia (appunto) e Michigan. In questo modo, a sfoltire il campo e lanciare i candidati sarebbero gli stati più rappresentativi dell’attuale partito e della composizione etno-sociale degli ISA, con il risultato di rendere più probabile la scelta di potenziali vincitori. Un ulteriore segnale in questa direzione è il rinnovamento della leadership democratica alla Camera. L’ottantaduenne Nancy Pelosi lascia il posto a Hakeem Jeffries (nero, 52 anni, di NY), affiancato da Katherine Clark (bianca, 59 anni, Massachussets) come whip e Pete Aguilar (latino, 43 anni, California) come presidente dell’assemblea del partito. Un cambio di generazione, ma anche la prima volta che il trio di vertice non comprende alcun maschio bianco.

Basterà l’adattamento alla nuova demografia a riportare la Casa Bianca ed entrambi i rami del Congresso sotto controllo democratico tra due anni? O, al contrario, l’evidenza sempre più forte del cambiamento in corso rafforzerà la parte estrema dei repubblicani, spingendo il partito definitivamente tra le braccia di evangelici, complottisti, razzisti, antivaccinisti, milizie armate e altri segmenti oltranzisti che Trump continua a coltivare? Lo vedremo tra meno di un anno.

Dopo la Georgia, come cambia la geografia politica Usa

Per la seconda volta, la Georgia elegge un senatore nero e consegna ai democratici il controllo del Senato. La sconfitta di Walker e di altri candidati fortemente voluti da Trump diminuirà l’influenza dell’ex presidente sui repubblicani? Intanto Biden chiede di modificare l’ordine delle primarie per rispecchiare la nuova mappa democratica. Rinforzerà il partito o spaventerà i conservatori? La riflessione di Gregory Alegi, professore di History and politics of the Usa all’università Luiss

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