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Rischio guerra civile nella Siria post-Assad? L’interrogativo è ben presente nelle analisi che stanno circolando tra i leader mondiali, sia quelli direttamente coinvolti nella partita in corso a Damasco, sia quelli più defilati ma ugualmente attenti. Il nuovo corso guidato da Abu Mohammad al-Jolani vede Recep Tayyip Erdogan come punto di riferimento, non solo strettamente regionale, e in questa direzione sta orientando le sue scelte. Al primo posto uno sforzo politico verso il multilateralismo, accanto agli attacchi sunniti contro i drusi che hanno causato la reazione di Israele.

Qui Ankara

Israele ha “alimentato alcune difficoltà” in Siria e ha reso il Paese il bersaglio del suo espansionismo nella regione. Queste parole del ministro degli esteri turco Hakan Fidan, che ha criticato Israele per le sue politiche attuate in Siria e le Ypg per aver “minato” gli sforzi della Siria per ristabilirsi dopo i disastri della guerra civile. Secondo Ankara il gruppo terroristico “sostenuto dagli Stati Uniti è una minaccia che la Turchia non può più tollerare”. Parole di un certo peso, che a Washington avranno un eco.

Da un lato, dunque, il cambio di scenario con il post Assad, incarnato dal governo ad interim di Damasco dovrebbe, nelle intenzioni, ripristinare la stabilità nel Paese dopo quasi 25 anni di regime autoritario. Dall’altro Ankara, già legata al governo di transizione, sta impiegando numerosi mezzi e uomini per sostenere l’unità territoriale della Siria, fornendo formazione e supporto tecnico: ovvero offrendo un certo interventismo contro le Ypg. Queste ultime incarnano il braccio siriano del gruppo terroristico Pkk, che Erdogan ha silenziato tramite le pressioni su Ocalan, che hanno portato allo scioglimento ufficiale. Un puzzle che in Siria avrà un punto di caduta significativo. Non va dimenticato che le Ypg sono presenti in molte città della Siria settentrionale e orientale sin dalla guerra civile.

Qui Damasco

I riflessi delle politiche erdoganiane in Siria sono ben presenti sin dall’arrivo nelle stanze del potere di Ahmed al-Shara’a, alias Abu Mohammad al-Jolani, un ex jihadista formato da Ankara, per cui le accuse del presidente turco a Netanyahu (“Israele usa la minoranza drusa in Siria come pretesto per espandersi nel Paese”) rientrano in questa strategia di lungo periodo che non è iniziata certamente oggi. Quando Erdogan annuncia che la Turchia non permetterà che la Siria venga divisa o che la sua struttura multiculturale e la sua integrità territoriale vengano danneggiate, incornicia in un perimetro ben preciso le sue future mosse.

Qui Gerusalemme

La replica del primo ministro Benjamin Netanyahu non si è fatta attendere: in occasione di un discorso durante una conferenza presso l’hotel Waldorf Astoria di Gerusalemme, nel Giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti, ha spiegato che “gli attacchi aerei israeliani in Siria del mese scorso sono stati evidenti per la loro logica, non si è trattato di un atto di autodifesa, è stato un atto di protezione perché il governo del Presidente siriano Ahmed al-Sharaa, al potere dalla caduta di Bashar al-Assad a dicembre, non è riuscito a proteggere i drusi dalla violenza sunnita, costringendo Israele a intervenire a favore della minoranza”.

Le scelte di Usa e Russia

Già prima dell’estate, il segretario di Stato americano Marco Rubio aveva chiesto sostegno alle autorità di transizione siriane sottolineando, in occasione di un’audizione della Commissione per gli affari esteri del Senato, che il Paese potrebbe essere a poche settimane dal “potenziale collasso e da una guerra civile su vasta scala di proporzioni epiche”. Inoltre poche settimane fa la visita a Mosca del ministro degli Esteri siriano Asaad Hassan al-Shibani che ha incontrato l’omologo russo Sergey Lavrov rappresenta la spia di un ennesimo movimento geopoliticamente intrecciato: la Russia intende voltare pagina nei rapporti bilaterali con la Siria post-Assad. Ma Damasco resta centrata su una politica estera di multiallineamento, al fine di essere pronta a dialogare con tutti.

Scenari

Per cui sarebbe troppo semplice imputare anche questo quadro alle politiche di Netanyahu, come troppo semplicisticamente si sta provando a fare. Piuttosto è un fatto oggettivo che l’aspro contrasto tra il nuovo regime siriano e i gruppi islamisti armati (che vedono come sangue negli occhi i drusi e che già in passato hanno massacrato alawiti e cristiani) non potrà che produrre una risposta strategica da parte di Gerusalemme. Non va dimenticato, infatti, che sin dallo scoppio della Primavera araba in Siria, nel 2011, la minoranza drusa ha dovuto affrontare minacce costanti. In attesa della posizione europea.

Non solo Gaza, tutte le preoccupazioni sulla crisi in Siria

Erdogan, già legato al governo di transizione, sta impiegando numerosi mezzi e uomini per sostenere l’unità territoriale, fornendo interventismo contro le Ypg. Queste ultime incarnano il braccio siriano del gruppo terroristico Pkk, che il presidente turco ha silenziato tramite le pressioni su Ocalan. Un puzzle che in Siria avrà un punto di caduta significativo. E la reazione di Netanyahu non si fa attendere

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