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La fuoruscita di Di Maio e dei suoi sostenitori dai gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle certifica in maniera lampante tre elementi. Non in ordine di importanza, ma di visibilità, il primo elemento è l’inadeguatezza di Giuseppe Conte come leader politico, inadeguatezza bollata fin dall’inizio con le durissime valutazioni di Beppe Grillo. Ma, lo abbiamo imparato, Conte ha un’autostima smisurata dalla quale non riesce in nessun modo a riaversi.

Il secondo elemento è che le tanto biasimate democrazie parlamentari hanno l’enorme pregio della flessibilità istituzionale (ad esempio, accomodando governi con composizione anche molto diversa), ma sono esigenti. In maniera bellicosa Arditti ha scritto che il Palazzo ha divorato i barbari. Usando altri termini direi che il Parlamento ha dimostrato di non essere una scatoletta di tonno, ha imposto l’apprendimento di regole, ha sconfitto coloro che niente sapevano e che pochissimo hanno imparato per incapacità e per superbia (sorte simile attende Di Battista se ben capisco le sue barricadiere esternazioni).

Il terzo elemento è che le persone in politica contano e, a determinate condizioni, fanno la differenza. Personalmente, gli atteggiamenti del Di Maio d’antan, non c’è bisogno di farne l’elenco, non mi sono mai piaciuti, ma il punto è che Di Maio ha molto imparato e giustamente non vuole lasciarsi correggere da chi ne sa di meno, soprattutto nell’ambito tanto delicato, cruciale per l’Italia, per l’Unione Europea, in generale, della politica estera.

Qualsiasi fuoruscita o scissione, quand’anche giustificabile, come fu quella dei non-renziani (non dei renziani e nemmeno di Paragone) contribuisce ad accrescere la già malamente governabile frammentazione del sistema partitico italiano. L’Italia ha bisogno di coesione sociale, è un messaggio che mando anche ai leader sindacali. Partiti organizzati sul territorio, quello che i Cinque Stelle mai vollero, ma forse non avrebbero saputo, fare, e rappresentativi sono l’unica o comunque la migliore soluzione alla ricomposizione della società, che non significa fine della conflittualità.

Poiché immagino che Di Maio non voglia concludere la sua traiettoria politica con la fine della legislatura, anche a lui attribuisco il compito politicamente e storicamente significativo di trovare accordi, non solo elettorali, di mettere insieme prospettive, di disegnare qualcosa di utile.
L’opportunità e lo spazio esistono. Qui si parrà quanta nobilitate ha acquisito Di Maio.

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