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Appena l’uomo cominciò a raccontare gli piacque narrare dei suoi viaggi o spostamenti, per scelta soggettiva, per suggerimento divino, per motivi sociali. Nella Bibbia Abramo deve mettersi in viaggio su indicazioni di Jahvè. Così Mosè, che, dopo il Mar Rosso e il deserto, arriverà sino al limitare della Terra Promessa, vista solo da lontano, in “campo lunghissimo”. Omero, ci affascina con la figura di Ulisse, rendendolo molto creativo nell’ideare il cavallo di Troia, ma anche protagonista di una serie-tv ante litteram, ossia lo farà girare per un decennio nel Mediterraneo prima di farlo tornare a casa. Lo stesso Dante si mette in testa di viaggiare nel mondo dei morti, a piedi. E poi, via via, attraverso i secoli, in tutte le letterature si viaggia. Ci si sposta per amore del vagabondaggio (Lazarillo de Tormes), per conoscere nuovi mondi via mare (Robinson Crusoe); perché si è visionari (Don Chisciotte); costretti da motivi di guerra (Fabrizio in La certosa di Parma e Pierre in Guerra e Pace); per conoscere il mondo a piedi e non ubbidire al padre (Pinocchio); per saltare da un continente all’altro con i nuovi mezzi di comunicazione aerea (Il giro del mondo in ottanta  giorni); per puro amore del mare e dell’Africa (Marlow di Cuore di tenebra). Poi, all’inizio del Novecento, si può viaggiare rimanendo dentro una città (Ulysses, 1922) o raccontare le prime emigrazioni per motivi sociali (The Grapes of Wrath, 1939).

Quando il cinema nasce ufficialmente (28 dicembre 1895), in uno dei film proiettati quella sera al Salon indien del Gran Café di Parigi, a cura di Louis e Auguste Lumière, si vede un treno mentre entra in stazione. Con viaggiatori che scendono e salgono. Un capolavoro ibrido di documentario ricostruito e riprese dal vero (Arrivée d’un train en gare de La Ciotat, 44’’). Un secolo di cinema ci porterà centinaia di capolavori con a tema il viaggio: a piedi, a cavallo, in carrozza, in treno, in auto, in moto, via mare, nei cieli.

Un indiscusso capolavoro è Il sorpasso (1962) di Dino Risi, forse il primo road movie in assoluto (ispirò Easy Rider, 1969, Dennis Hopper). Racconto esemplare da sotto ogni aspetto disciplinare: psicologico, esistenziale, sociologico, scritto da Dino Risi, Ruggero Maccari ed Ettore Scola. Una magistrale prova d’attore per Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant. Una diegesi che vive, dunque, anche del tema del viaggio. Fisico, da Roma in Versilia, in automobile, sulla via Aurelia. Attraverso il “corpo Italia”, quella dei primi anni Sessanta, dell’iniziale boom economico, immersa nella neo-industrializzazione su larga scala, che raccoglieva i risultati del piano Marshall dei precedenti quindici anni. Ma anche, infine, viaggio dentro l’uomo “medio” del Novecento, delicato percorso esistenziale e filosofico.

L’apparente sicuro e spavaldo Bruno Cortona (Vittorio Gassman) e il timido studente universitario Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant, doppiato dalla voce calda e calma del bravo Paolo Ferrari) sono le due facce dell’italiano-tipo cresciuto nel secondo dopoguerra. Cortona, rappresenta l’uomo Peter Pan, buono di carattere, ma non in grado di fare il marito e il padre, refrattario al lavoro fisso perché limiterebbe il suo spirito spumeggiante, non rispettoso delle norme (infrange continuamente il codice stradale) e dei valori tradizionali (amore libero, avventure sessuali, niente fidanzamento), ma con due indiscutibili doti: notevole capacità di osservazione di un mondo in rapido cambiamento, eccellente abilità comunicativa. Roberto, universitario serio, timido e riservato, è il giovane piccolo borghese rispettoso dei valori morali “tradizionali” (prima la laurea, il lavoro, e poi il fidanzamento e il matrimonio). Nel viaggio con Bruno scoprirà un altro modo di approcciare la vita, spregiudicato e “moderno”. Poco prima dell’inattesa sua tragica fine egli confesserà a Bruno: “Ho passato due giorni più belli della mia vita!”. Quasi a confermare che il “corso” accelerato che indirettamente Bruno, con il suo fare brillante, perspicace e sicuro, ha tenuto, abbia cambiato la weltanschauung del timido studente di legge.

Gli sceneggiatori non intendevano offrire due visioni etiche dell’uomo novecentesco manichee, contrapposte. Ossia, una “buona”, “brillante”, “vincente” (Bruno) e l’altra “tradizionale”, “superata”, “inadatta” ai nuovi tempi e costumi (Roberto). Si limitano a osservare che nella società del benessere si stanno perdendo dei valori in passato ritenuti centrali. Che se capita di separarsi (Bruno e sua moglie Gianna) la coppia non intende ricucire, meglio la solitudine, sia per la saggia Gianna (impeccabile Luciana Angiolillo, con la flautata voce di Benita Martini), che per l’effervescente quarantenne Bruno; che la loro figlia (la 15enne Lilly, è Catherine Spaak), se intende “sistemarsi”, preferisce un uomo adulto (è il perfetto Claudio Gora), seppur non innamorata, poiché “i ventenni sono immaturi”.

Il fine umorismo di Il sorpasso a volte vira verso il sarcasmo e una certa “cattiveria” inintenzionale, poiché il tutto sta dentro il personaggio di Bruno, strafottente suo malgrado. Egli è umoristicamente offensivo contro la famigliola italiana che va in ferie su un vecchio sidecar; ineducato verso la ragazza di colore chiamata “pallidona”; offensivo nei riguardi di Occhiofino, anagrammato da Bruno in “finocchio”. Oggi queste scene e battute sarebbero vietate.

Dino Risi costruisce un racconto privo di pause rallentate, sempre in crescendo, con squarci scenografici inediti e guizzi narrativi inattesi. La città vuota, il suono reiterato delle trombe tritonali della Lancia Aurelia, i sorpassi sulla via Aurelia; il pranzo nella trattoria popolare di Civitavecchia; l’inseguimento e l’incontro mancato con le turiste tedesche al cimitero; la visita a sorpresa ai parenti di Roberto in Toscana; la festa presso il ristorante-sala da ballo “Il Cormorano” a Castiglioncello; la visita alla villa della ex moglie; la giornata al mare; il sincero riavvicinamento tra Lilly e Bruno. Fino al tratto finale del viaggio ferragostano, con l’incidente mortale.

Gli sceneggiatori tratteggiano un dettagliato spaccato sociologico della nuova e ottimistica Italia dei Sessanta attraverso diversi codici comunicativi. La musica leggera del periodo (Modugno, Vianello), le vacanze, il ballo, gli ultimi modelli di motoscafi, lo sci d’acqua, le varie mode (come quella nascente del cagnolino da passeggio), per cui il Sorpasso presenta, in controluce, una sentina documentaristica eccezionale del periodo (si pensi solo ai cartelloni pubblicitari sulla consolare Aurelia) utile agli storici e ai sociologi.

La regia di Dino Risi è tipicamente nouvelle vague. Il piano-sequenza è la cifra stilistica che lega ogni azione, espressione, gesto, in un flusso narrativo ricco di suspense, che cattura lo spettatore e lo tira dentro questo viaggio “attraverso” l’Italia, dopo quello “in” Italia di Roberto Rossellini (Viaggio in Italia, 1954).

L'Italia del Sorpasso compie 60 anni

A dicembre 1962 usciva “Il Sorpasso”, di Dino Risi, ambientato nel giorno di Ferragosto. Pietra miliare della commedia all’italiana, fu un successo strepitoso ovunque, copiato anche da Hollywood. Fotografia impietosa dei pregi e dei difetti degli italiani del boom. Purtroppo attuale. Una prova magistrale per Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant

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