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Un’Italia che fa sistema può puntare alle stelle, e anche alla Luna. Un settore come quello spaziale, che unisce industria, ricerca e politica, — se debitamente sfruttato — può rappresentare un’opportunità strategica per il Paese. Airpress ne ha parlato con Andrea Mascaretti, presidente dell’intergruppo parlamentare per la space economy, dopo la visita agli impianti torinesi di Thales Alenia Space Italia, dove prendono forma i moduli della futura stazione cislunare, il Lunar Gateway.

Presidente, partiamo dalla visita agli stabilimenti di Torino. Qual è stato il significato di questa missione parlamentare?

Abbiamo voluto vedere da vicino uno dei luoghi in cui si sta costruendo il futuro dell’esplorazione spaziale. Gli impianti di Thales Alenia Space Italia rappresentano un’eccellenza nazionale e proprio lì si sta lavorando ai moduli del Lunar Gateway, la stazione spaziale che orbiterà intorno alla Luna. Peraltro, proprio mentre eravamo lì abbiamo ricevuto conferma della firma dell’accordo tra Thales Alenia Space e Asi per il primo modulo abitativo lunare, che verrà depositato sulla superficie e permetterà la permanenza umana sulla Luna. Se ci pensiamo, è un vero e proprio salto di paradigma. Dall’Apollo 11 a oggi, gli astronauti toccavano il suolo lunare solo per poi ripartire. Ora parliamo di permanenza, sia in orbita sia sul suolo del nostro satellite. E questo è solo il punto di partenza per proiettarsi verso Marte.

Riguardo Marte, quanto è reale oggi l’idea di una colonizzazione umana del pianeta rosso?

Molto più reale di quanto sembri. La Nasa ha dichiarato in modo esplicito che la Luna sarà una piattaforma fondamentale per raggiungere Marte. Non si tratterà solo di missioni dirette dalla Terra, ma anche di missioni che partiranno dalla stazione in orbita cislunare — il Gateway — e, in prospettiva, anche da una base sulla superficie della Luna. Questo permetterà missioni sempre più sostenibili sul piano economico e più ambiziose su quello scientifico. E l’Italia, con le sue tecnologie, è parte integrante di questo disegno.

Si è parlato della via italiana allo spazio. Cosa significa concretamente?

Significa creare le condizioni per permettere alle nostre imprese, alle università, ai centri di ricerca e alle istituzioni di lavorare in sinergia. È ciò che stiamo cercando di fare con gli Stati Generali della Space economy, che organizzeremo di nuovo quest’autunno. Lì si confrontano tutte le componenti dell’ecosistema: governo, Parlamento, industria, ricerca, Asi e mondo economico. È l’unico evento che tiene insieme tutti gli attori dello spazio italiano per ragionare strategicamente su dove vogliamo andare e come arrivarci.

Spesso maggioranza e opposizioni si trovano su posizioni opposte, se non proprio contrastanti. Sul dossier spazio, invece, sembra che la politica si muova in modo coeso. È davvero così?

Sì. Su questo fronte, maggioranza e opposizione lavorano nella stessa direzione. È una consapevolezza condivisa che vede nella space economy un’opportunità troppo grande per il Paese perché venga trattata con logiche divisive. Certo, ci sono sensibilità diverse, ma la visione è comune: l’Italia deve esserci, al fianco dei grandi partner occidentali come gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Giappone e all’interno dell’Europa, in primis nell’Esa. È una partita strategica e siamo tutti sulla stessa barca.

Quali saranno le ricadute concrete di questi sviluppi?

Saranno enormi. I satelliti, ad esempio, ci permettono già oggi di raggiungere ogni angolo del pianeta con le telecomunicazioni, cosa impossibile con i soli cavi o le antenne terrestri. Questo ha impatti decisivi sulla telemedicina, sulla formazione a distanza, sull’inclusione educativa in aree remote del mondo. Ma anche sul monitoraggio ambientale, la gestione delle emergenze, i soccorsi in caso di disastri naturali. È la tecnologia che lavora al servizio dell’uomo, e ne beneficerà l’intera umanità.

E sul piano economico e industriale?

Il settore spaziale è uno dei più dinamici e promettenti a livello globale. La competizione è serrata e si muove velocemente. Per questo, è fondamentale che politica, industria e ricerca restino allineati. Senza investimenti e senza un quadro normativo chiaro e stabile, si rischia di perdere terreno. Noi stiamo lavorando proprio per garantire quella continuità, quella velocità e quella sicurezza che servono a rendere l’Italia un attore credibile. E non parliamo solo di risorse pubbliche: vogliamo attrarre anche investimenti privati, ma questi arrivano solo se c’è una cornice favorevole.

Cosa è cambiato rispetto al passato? Perché oggi si riesce a fare sistema?

C’è stata un’accelerazione. In passato, anche quando i vari attori parlavano tra loro, non c’era sempre pieno coordinamento. Oggi invece tutti – politica, industria, università – sentono l’urgenza di collaborare. Per esempio, abbiamo iniziato a lavorare concretamente per allineare formazione e mercato del lavoro: le università devono formare le figure che le imprese cercano, e le imprese devono supportare la ricerca, anche con investimenti. Solo così si costruisce una filiera competitiva.

C’è ancora spazio per la collaborazione internazionale, anche oltre le tensioni geopolitiche?

Ce lo auguriamo. La Stazione spaziale internazionale ne è un esempio, essendo ancora oggi co-gestita da americani, russi ed europei. Prima della guerra in Ucraina, l’Occidente collaborava con la Federazione Russa e i lanci venivano effettuati anche tramite Roscosmos (l’agenzia spaziale russa). Sarebbe bello tornare a una dimensione in cui lo spazio è un terreno di cooperazione e non di scontro. Del resto, lo spazio è talmente vasto che non può che essere condiviso. Soprattutto, è una risorsa che può unire l’umanità, se saremo in grado di coglierne l’opportunità.

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