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Dal Cile alla Colombia, la presidenza di molti Paesi latino-americani è (o sarà a breve) guidata da leader della sinistra. Il presidente cileno, per esempio, è un giovane ex attivista del movimento studentesco chiamato Gabriel Boric. Con le braccia tatuate e un programma alla “Robin Hood”: aumentare la carica fiscale dei ricchi per favorire l’assistenza sociale dei più poveri.

In Perù, invece, ha vinto il figlio di una famiglia di contadini, Pedro Castillo, che vuole ridurre le disparità per l’accesso al sistema sanitario e l’istruzione, dando priorità alla sicurezza alimentare dei più bisognosi. E c’è anche la Colombia, che sarà gestita da un ex guerrigliero, Gustavo Petro, che ha vinto le elezioni promettendo la difesa dei diritti degli indigeni e dei poveri.

Un reportage del quotidiano americano The New York Times ricorda che dopo anni in cui i partiti politici di destra sono stati scelti dagli elettori, l’America latina precipita nella sinistra. Tutto è cominciato con l’elezione del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador nel 2018 e potrebbe concludersi (per ora) con la vittoria del candidato della sinistra Luiz Inacio Lula da Silva in Brasile alla fine di quest’anno. Così “sei delle più grandi economie della regione sarebbero guidate da leader politici eletti per le loro piattaforme di sinistra”.

In Argentina, Alberto Fernández è arrivato al potere alla fine del 2019, dopo la gestione di un presidente di destra, che è finita con manifestazioni in piazza per l’aumento dei prezzi. E in Ecuador, il governo di destra di Guillermo Lasso sta finendo con non poche proteste di scontento.

“Una combinazione di forze ha portato questo nuovo gruppo al potere – si legge sul NYT -; uno di questi fattori è la retorica contro i politici tradizionali, che è stata promossa dall’indignazione per la povertà e la disuguaglianza croniche, condizioni che si sono esacerbate con la pandemia e hanno approfondito la frustrazione tra gli elettori”.

Ma le promesse da campagna elettorale si sono scontrate con la realtà, in un mondo segnato dalla guerra in Ucraina e l’aumento dei prezzi, dai combustibili agli alimenti, peggiorando le condizioni di vita delle persone.

Per questo l’entusiasmo iniziale sembra scemare, con i governi che sono impegnati nella gestione dei conti economici colpiti dalla pandemia, l’inflazione galoppante e l’aumento della migrazione e le conseguenze sociali ed economiche del cambiamento climatico.

Cynthia Arnson, membro del Woodrow Wilson Center, vuole evitare di sembrare apocalittica, ma “quando guardi questo, a volte senti come fosse una tormenta perfetta la quantità di cose che stanno colpendo allo stesso momento la regione”. L’esplosione sociale, sostenuto anche dalla potenza dei social network, potrebbe essere imminente.

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