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Esistono diverse classifiche che comparano la competitività e l’innovazione dei diversi Paesi. In alcuni casi questi ranking hanno assunto un ruolo talmente importante da portare alcuni governi a tentare di influenzarne i risultati. È accaduto al rapporto annuale Doing Business della Banca Mondiale, che conteneva un indice che attribuiva un punteggio alle nazioni in base alla facilità con la quale permettevano alle imprese di operare sul proprio suolo. Un certo posizionamento poteva risultare come un endorsement o meno del governo in carica e, allo stesso tempo, incoraggiare le imprese ad effettuare investimenti in un posto piuttosto che in un altro, in base a una profezia che si autoadempie. Fatto sta che, dopo aver ravvisato irregolarità e contatti sospetti dei vertici della Banca Mondiale con Cina e Arabia Saudita, l’istituzione con base a Washington ha deciso di interrompere giusto un anno fa la pubblicazione del report e dell’indice che conteneva.

Tuttavia, pur prestandosi a potenziali critiche metodologiche e di merito, il confronto internazionale basato sull’elaborazione di indici di performance rimane uno strumento con due pregi fondamentali: la sinteticità e con essa la facilità di lettura, anche per non addetti ai lavori, e l’ancoraggio a valori quantitativi, e dunque meno soggettivi di tanti altri, che possono mutare nel tempo, anche grazie alle azioni di policy intraprese.

È con questo spirito che quattro think thank, oltre all’Istituto per la Competitività (I-Com), la statunitense Information Technology and Innovation Foundation (ITIF), il German Economic Institute (IW) e il canadese Macdonald-Laurier Institute (MLI), hanno realizzato negli scorsi mesi il “Transatlantic Subnational Innovation Competitiveness Index”, i cui risultati saranno presentati e discussi in una tavola rotonda che si terrà oggi al Parlamento europeo a Bruxelles. Lo studio esamina gli ecosistemi dell’innovazione di 96 Stati, province e regioni di Stati Uniti, Germania, Italia e Canada utilizzando 13 indicatori di competitività, divisi in 3 categorie: economia della conoscenza, globalizzazione e capacità di innovazione.

In questo modo, l’indice ottiene due risultati principali: scatta una foto a più alta risoluzione dei classici ranking che si fermano alla dimensione nazionale, riconoscendo la rilevanza del livello subnazionale, paradossalmente accentuata dalla globalizzazione; ha un valore prospettico, perché conoscenza, innovazione e internazionalizzazione sono le tre principali chiavi di successo di un sistema economico che voglia crescere nel lungo termine.

Sebbene in media gli Stati Uniti possano sembrare molto avanti quando si parla di innovazione e l’Italia molto indietro, i numeri mostrano un quadro parzialmente diverso. Se i Länder tedeschi sono in media meglio posizionati rispetto agli stati Usa, le regioni della Penisola superano le province del Canada.

Dall’analisi spicca come gli Stati tedeschi ottengano complessivamente risultati migliori di quelli di Stati Uniti, Italia e Canada, anche se tre delle cinque regioni in testa sono a stelle e strisce.  Primeggiano infatti Massachusetts, California, Baden-Württemberg, Berlino e Washington, mentre Puglia, West Virginia, Sicilia, Calabria e Mississippi si attestano agli ultimi posti.

A guidare la graduatoria delle regioni italiane è l’Emilia Romagna (al 17° posto) seguita dalla Lombardia (28°), il Piemonte (35°), il Lazio (36°) e il Friuli Venezia Giulia (39°). In coda alla classifica troviamo il Molise (86°), la Sardegna (88°), la Puglia (92°), la Sicilia (94°) e la Calabria (95°).

Complessivamente buona la performance dell’Italia nella categoria “globalizzazione”, nella quale la Lombardia si piazza addirittura al primo posto. Da rivedere significativamente i risultati nei cluster “economia della conoscenza” e “capacità di innovazione”. Sul primo pesano lo scarso numero di laureati e l’incapacità di attrarre manodopera qualificata dall’estero. Sul secondo, gli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo nonché la bassa propensione delle imprese a brevettare.

Sebbene per determinare la competitività di un Paese molte delle misure da prendere non possono che essere di carattere nazionale, non va sottovalutato il contributo di regioni e comuni nel creare condizioni di business e capitale umano adatte a una solida prospettiva di competitività e innovazione.

Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto pone l’accento soprattutto sul recupero dell’evidente svantaggio su competenze e innovazione.

Sul primo fronte, occorre agire su tre direttrici complementari: un piano di formazione straordinario dell’attuale forza lavoro, l’aumento dei laureati, soprattutto nelle discipline Stem, e dei diplomati specializzati, grazie al potenziamento degli Its e degli istituti tecnici e professionali, e politiche dell’immigrazione selettive, che attraggano giovani talenti dall’estero. Sul secondo versante, bisogna innanzitutto aumentare la spesa sia pubblica che privata in ricerca e sviluppo, dando continuità agli investimenti previsti dal Pnrr. Occorre poi potenziare il trasferimento tecnologico, rendendolo più produttivo.

Sullo sfondo, rimane fondamentale la maggiore capitalizzazione nonché la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese, grazie a un mix di strumenti ma anche a un cambiamento culturale dell’imprenditoria, i cui primi segnali si sono visti nell’ultimo decennio ma che devono essere decisamente più pervasivi per risultare sistemici.

In attesa della prossima comparazione internazionale, che i quattro think tank vorrebbero estendere ad altri Paesi della rete GTIPA (Global Trade and Innovation Policy Alliance), che comprende più di cinquanta organizzazioni di una quarantina di nazioni di tutti i continenti.

Innovazione e competitività. Una visione transatlantica degli ecosistemi regionali

Verrà presentato oggi al Parlamento europeo il nuovo Transatlantic Subnational Innovation Competitiveness Index messo a punto da quattro think thank: l’italiano I-Com, la statunitense Information Technology and Innovation Foundation, il German Economic Institute e il canadese Macdonald-Laurier Institute. Ne scrive su Formiche.net Stefano da Empoli, presidente Istituto per la Competitività (I-Com)

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