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Ci sono molti modi di eseguire una valutazione d’impatto ambientale (la Via), centro gravitazionale del permitting di Stato e snodo cruciale per molta parte dei progetti alla cui realizzazione è legata l’epocale opportunità dei 222 miliardi del Pnrr.

Dopo due anni di esperienza diretta sul campo, resto convinto che – anche per la Via – studiare, in ufficio, con scrupolo e attenzione, la copiosa documentazione relativa ai singoli progetti è bene (oltre che, s’intende, doveroso), ma vedere le cose di persona e dal vivo, è meglio. S’intende: non sempre, non su tutto, ma quando ci sono situazioni dubbiose, “andare a vedere” è essenziale.

Non di rado, all’esito del sopralluogo, un no diventa un sì (molto più raramente, accade il contrario). Perché la Via non è algido algoritmo. Mai. Piuttosto, è ricerca – che si rinnova ogni giorno e ogni volta, con pazienza e capacità ideativa – di soluzioni e combinazioni complesse, muovendo dal progetto dell’impresa privata, sempre punto di partenza, non necessariamente anche di arrivo. Al progetto, le Commissioni del Mite che svolgono la Via possono infatti, per legge, apportare mirate correzioni di rotta – a garanzia della sostenibilità ambientale dell’intervento, facendo uso del potere di definire prescrizioni (o, se si preferisce, condizionalità). Nella logica, forse più adatta di altre alla complessità del nostro tempo, del “meglio una prescrizione in più che un progetto/opportunità in meno”.

Le esperienze più mature dei sistemi occidentali ci insegnano che la democrazia ha un costo. Passando dal generale al particolare, si può aggiungere – si perdoni, se possibile, l’ardito accostamento, zippato solo per ragioni di sintesi estrema – che anche la Via, costa. Ma mentre la democrazia è finanziata, com’è naturale e giusto che sia, dalla fiscalità generale, la Via, invece, se la pagano le singole aziende che volta per volta la chiedono.

Sottoporre a Via un progetto comporta infatti, per legge, il pagamento – a carico dell’impresa proponente – di una tariffa di entità proporzionata al valore del progetto. Si chiama, “autofinanziamento” (perché in tal modo la Via non grava sulla finanza pubblica). Occorre tuttavia essere coerenti: l’autofinanziamento ha un senso se ciò che viene versato dalle aziende (versato, si badi, non al ministero della Transizione Ecologica, presso il quale operano sia la Commissione Via Vas che la Commissione Pnrr – Pniec, aventi compiti distinti) va a finanziare, nella misura necessaria, quel servizio (la Via, appunto) per avere il quale la tariffa viene pagata dalla singola impresa. Detto altrimenti, se la Via è un servizio pubblico a domanda e a tariffa, occorre essere conseguenti e destinare gli introiti da tariffa al finanziamento della Via, in modo da coprirne i costi.

Oggi, per una serie di fattori (raddoppio – per scelta di governo e parlamento – delle Commissioni e dei commissari, aumento esponenziale dei progetti presentati dalle imprese come effetto diretto del Pnrr, conseguente forte incremento delle necessità di digitalizzazione dei processi di Via, etc.) questi costi ammontano a un importo annuo compreso fra 8 e 9 milioni di euro. Sebbene nel 2021 siano state versate – dalle imprese richiedenti la Via – tariffe per un importo complessivo pari ad un numero a due cifre di mln di euro, la Via resta fortemente sottofinanziata: prima del dl n. 68/2022 (art. 12) al Mite venivano “girati” introiti da tariffa per appena 4,7 milioni di euro; dopo il citato art. 12, si arriva a malapena a 6 milioni.

Quali le conseguenze di questo forte sottofinanziamento? Diverse. Non è tanto e solo che commissari che hanno lavorato e stanno lavorando a ritmi altissimi (800 pareri in due anni, e – per citare solo l’energia – diversi Gw di autorizzato), con compensi sensibilmente ridotti rispetto al passato e, innovativamente, legati a un sistema a punti (cioè a numero di pareri emessi) che li ha visti per due anni consecutivi, in ogni caso, raggiungere il massimo del punteggio, ….attendono ancora di vedere il frutto del loro lavoro, o che latitino le risorse tecnologiche minime necessarie per svolgere lo specifico lavoro al quale sono chiamati (anzitutto, pc usabili non solo come macchine da scrivere, per intendersi, ma anzitutto per scaricare e lavorare i pesanti files inviati dai proponenti ricchi di ampie cartografie).

Ed è – anche – che dopo mesi che lo scrupolo dei commissari li ha spinti, nei casi dubbi, ad effettuare gli opportuni sopralluoghi, anticipando di tasca proprie le spese, la prosecuzione dei sopralluoghi “a carico dei commissari” non è più pensabile. Se la Via resta sotto-finanziata, perché al Mite non arriva una quota sufficiente degli introiti da tariffa versati dalle imprese, non sarà materialmente possibile effettuare utili sopralluoghi, e potrà quindi accadere che un no resti un no.

Ed è un peccato? No, è di più: sarebbe impossibile da spiegare a un’impresa straniera o ad un analista economico non italiano. Tanto più se si considera che le imprese che sottopongono a Via i progetti, le tariffe per avere la Via le hanno già versate per intero. La conversione del dl n. 68 offre, in questi giorni, non solo l’occasione per risolvere la questione, ma anche per superare una vistosa asimmetria che da tempo si trascina: mentre per la “gemella” Commissione Aia, essa pure operante presso il Mite, è prevista ex lege l’integrale riassegnazione al Mite delle tariffe versate dai proponenti, questa soluzione (che è la più ovvia e naturale) non è invece prevista per le due Commissioni del Mite che si occupano della Via.

Ed è essenziale che prevalga la ragionevolezza, e si torni alla linearità: dove c’è Via, deve esserci (introito da) tariffa. A finanziare tutto il ciclo del permitting, sopralluoghi compresi.

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