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Più di un mese fa annotavamo come l’Europa, al netto di una reazione di condanna con pochi precedenti per velocità e compattezza, faticasse a riprendersi dallo shock per lo scoppio di un conflitto vero in Ucraina.

Dal 2014 gli analisti di questioni russe (gruppo sparuto rispetto all’inflazione di commentatori comparsi oggi) avvertivano della determinazione di Mosca nel riportare Kiev nella sua orbita.

Tuttavia la possibilità che ciò avvenisse con una campagna militare “all’antica” era considerata remota. Uno spauracchio solo ventilato, come accaduto in altre occasioni, per tirare la volata ad un’azione diplomatica.

Ora che il dato incontrovertibile della prima guerra europea al tempo dei social-media è il passaggio della politica estera di Mosca “dalla carota al cannone”, è centrale decifrare scelte russe con ripercussioni future di impatto prolungato.

A prescindere dalla durata dell’attuale conflitto, tanto da renderla (è terribile a dirsi) politicamente secondaria.

Mentre l’Europa ancora fatica nel farsi una ragione dello scenario inedito e degli sviluppi a cascata (ben oltre la sola dipendenza dal gas russo), il Cremlino sta mettendo in pratica un vero e proprio percorso di divorzio dall’Occidente.

Lo dicono le cesure con il passato di Mosca in settori strategici non direttamente collegati alla campagna militare in corso, indicativi di un ritorno ad un’autarchia isolazionista di memoria sovietica, almeno nei confronti dell’Europa.

Multilaterale: Consiglio d’Europa

Che sull’onda dell’emotività per l’invasione dell’Ucraina, il 25 Febbraio il Consiglio d’Europa (proprio durante la presidenza di turno Italiana) arrivasse a sospendere la Russia, nel CoE dal 1996, era sanzione prevedibile, in linea con una prassi consolidata.

Si tratta di una reazione politica standard che lascia ampi spazi di manovra diplomatica in vista di una normalizzazione del quadro politico, che resta a portata di mano (lo Stato sospeso continua comunque a restare membro dell’organizzazione).

La decisione russa invece di rispondere due settimane dopo uscendo definitivamente dal CoE è un atto di rottura senza precedenti.

Ha implicazioni serie per l’integrazione europea perché toglie la Russia dalla più antica delle sue piattaforme multilaterali. Importante non come luogo di decisione, quanto occasione permanente di incontro e dialogo con quei paesi europei ancora non entrati nella UE. Mentre per il resto, Strasburgo ha da tempo perso peso politico  e mostrato i limiti di un modello organizzativo superato e ridondante.

Per Mosca, le decisione si collega allo spostamento dell’azione diplomatica dal livello multilaterale a quello bilaterale, secondo un trend iniziato già nel 2014, opposto a quanto registrato nel periodo dopo il crollo dell’URSS.

Optare per un’uscita formale comunica un addio politico e ideologico russo all’Europa piuttosto che una semplice separazione temporanea.

Non solo un futuro nuovo percorso di adesione sarebbe un processo lungo e improbabile; ma l’odierna chiusura irreversibile significa l’uscita della Russia dalla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ovvero l’istituzione del CoE che maggiormente incarna i valori dai quali Mosca intende staccarsi, nel suo volgersi orientale verso Pechino.

Nuove frontiere: Artico e Programmi spaziali

Inoltre, nel blocco con effetto immediato sono rientrate le partecipazioni russe alla realizzazione delle missioni e spedizioni internazionali esplorative, dallo Spazio all’Artico.

Per quanto riguarda le prime, l’interruzione della cooperazione è una pessima notizia comunque la si osservi.

Dal punto di vista tecnico, perché negli anni la Russia ha accumulato un incontrastato primato nel settore, a partire dalla gestione dell’hardware necessario per arrivare e stazionare nel cosmo, da cui i restanti paesi dipendono.

È un altro dei risultati della controversa scelta Occidentale, applicata nello specifico alla ricerca spaziale, di aumentare l’incidenza del settore privato in campi tradizionalmente dominati dal pubblico. Con conseguenti casi estremi come quello delle missioni sulla Luna, oramai esclusivo appannaggio di una competizione dei miliardari proprietari di Amazon, Virgin e Tesla.

Dal punto di vista politico, colpisce che la rottura dei rapporti riguardi anche un ambito che storicamente, dai tempi della Guerra Fredda fino alle recenti tensioni tra Mosca e Washington, era riuscito sempre a mantenere un continuo livello di lavoro comune, in nome del progresso della scienza e dell’umanità.

Similmente, la fine della partecipazione russa a missioni congiunte nell’Artico è da leggere sia come ritorsione tecnologica ma pure come segno dell’intenzione di Mosca di correre in solitario alle risorse presenti in un’area che il riscaldamento globale sta rendendo più accessibile. Caricandola di un evidente significato geo-politico.

Università e istruzione superiore: Processo di Bologna

Altro esempio dell’imminente isolamento autarchico russo nei rapporti con l’Europa rimanda all’istruzione superiore, settore distintosi nell’ultimo decennio per livelli di avvicinamento andati oltre le aspettative del quadro istituzionale.

Il mondo universitario ha beneficiato dall’esponenziale crescita tra Europa e Russia della circolazione di idee, ricerche, progetti comuni, con coinvolgimento dal basso delle rispettive comunità scientifiche e studentesche.

Alla odierna decisione Europea di congelare i programmi in corso, il Ministero russo competente ha risposto con un altro rilancio che sa di divorzio, ovvero l’uscita dal Processo di Bologna, il sistema di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore dell’Unione europea, nato con l’obiettivo di realizzare uno specifico Spazio europeo.

Cui anche Mosca aveva aderito in nome del ricordato clima di cooperazione.

Chi dall’Europa in questi anni ha avuto rapporti diretti con le istituzioni accademiche russe ne ha toccato con mano l’assoluta qualità scientifica, traendone netto arricchimento, professionale e umano.

Che tutto questo ora sia finito e che anche l’Università diventi terreno di scontro del conflitto in corso forse non è la notizia più grave nell’immediato.

Di certo è quella che rattrista di più, per il potenziale effetto di avvelenamento dei pozzi che proietta sulle generazioni future.

(Foto: bandiera russa ammainata al Consiglio d’Europa. Credit: www.coe.int

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