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“Se i tedeschi intendono fare quello che hanno annunciato certamente noi, che ne siamo più consapevoli” dei rischi delle mire cinesi non finiremo nelle mani di Pechino. Così Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, ha risposto, intervistato al Salone della Giustizia, a una domanda sul Porto di Trieste e le scelte su Porto di Amburgo che ne è azionista. Conscio dei rischi legati alla Cina che punta su infrastrutture strategiche, come il porto di Amburgo, “siamo la frontiera nel Mediterraneo, rispetto a questo progetto egemonico non li seguiremo. Non ci consegneremo nelle mani dei cinesi”, ha assicurato il ministro.

Più in generale, Urso ricorda la sua posizione già espressa in passato “sulla politica di dominio che la Cina realizzava o voleva realizzare attraverso la Via della Seta”, una “sfida titanica che la Cina ha lanciato contro l’Occidente”, aggravata proprio in questi giorni dai cambiamenti politici in Cina “con la scelta di una nuova gerarchia che punta tutto sulla sicurezza nazionale, sul controllo sociale piuttosto che sulla crescita economica”. Le sue parole confermano ancora una volta come il governo di Giorgia Meloni sia pronto a continuare nella direzione indicata dal precedente esecutivo guidato da Mario Draghi per quanto riguarda l’allontanamento dalla Cina dopo la firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta apposta nel 2019 dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Anche la Lega non si tira indietro. “Governo e parlamento monitoreranno attentamente la situazione affinché infrastrutture strategiche come il Porto di Trieste non cadano in mani cinesi”, ha scritto il neosenatore Marco Dreosto. L’Italia “ha gli strumenti adeguati per poter bloccare azioni ostili”, ha aggiunto.

Il governo potrebbe usare il Golden Power sul porto di Trieste? “È una competenza che spetta ovviamente a Palazzo Chigi”, ha risposto Urso. “Posso dire che tutta la nostra politica, anche economica e produttiva, sarà quella di garantire l’autonomia strategica italiana ed europea su tutte le filiere che sono importanti per mantenere nelle nostre mani decisioni sullo sviluppo economico e produttivo del nostro Paese e della nostra Europa. Questa è la nostra politica. Se poi altri intendono passare dalla dipendenza per l’energia alla dipendenza tecnologica o alla dipendenza in qualche misura commerciale dalla Cina, noi su questa strada non li seguiremo”.

Sul tema del possibile ingresso in uno dei terminal del porto tedesco di Amburgo con una partecipazione del 24,9% del colosso cinese statale Cosco è intervenuto anche Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità portuale di Trieste. La notizia “non è preoccupante”, ha detto. “Esistono oggi tutti gli strumenti sia nazionali sia europei e anche tedeschi per scongiurare situazioni di controllo da parte di chiunque nei porti”, in Germania come in Italia, ha spiegato intervenendo alla trasmissione Tutta la città ne parla, su Rai Radio 3.

A far accendere i riflettori italiani (anche di Formiche.net) sull’operazione sinotedesca è stato il fatto che la compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (Hhla), partecipata dall’ente amministrativo federale della città tedesca di Amburgo, ha concluso all’inizio dell’anno scorso un’operazione per l’acquisizione del 50,01% della società triestina Piattaforma logistica Trieste. In un report pubblicato allora dall’Istituto affari internazionali, Francesca Ghiretti evidenziava come l’accordo trentennale segni “una svolta del Porto di Trieste verso i partner europei e la probabile fine del progetto di investimento cinese previsto nel memorandum d’intesa con CCCC di novembre 2019”. Inoltre, spiegava la ricercatrice, “la piattaforma in cui ha investito Hhla è la stessa che ha attirato l’interesse di Cmg (China Merchants Group, un’altra azienda di Stato cinese ma con sede a Hong Kong, ndr) nel 2018; alla fine ha ricevuto gli investimenti necessari non dalla Cina ma dalla Germania”. Nello stesso documento emergeva come mentre per il porto Genova l’interesse per gli investimenti cinesi è (era?) legato alla “costruzione di una nuova diga”, per quello di Trieste è (era?) connesso ai collegamenti ferroviari. Proprio la ragione per cui Hhla ha deciso di puntare sullo scalo adriatico.

Questa acquisizione ad Amburgo “non sembra presentare ripercussioni dirette su Trieste”, ha spiegato nei giorni scorsi Ghiretti, oggi analista del centro studi Merics, a Formiche.net. “Ma guardando all’operazione in maniera più generale emergono alcuni interrogativi che riguardano la concorrenza. Infatti, Cosco, che riceve fondi statali dalla Cina, non compete allo stesso livello di altre imprese nel settore. Inoltre, la sua posizione dominante sul mercato è un potenziale strumento geopolitico per Pechino”. Le società cinesi controllano già circa il 10% del traffico marittimo attraverso i porti europei (con partecipazioni di maggioranza nel porto greco del Pireo e in quelli spagnoli di Valencia e Bilbao, oltre a quote negli scali di Rotterdam nei Paesi Bassi e Vado in Italia).

C’è un ultimo elemento da evidenziare: un caso come quello greco del Pireo in Italia non potrebbe realizzarsi. Meno di un anno fa si era diffusa la notizia dell’interesse di due società cinesi per il porto di Palermo. In quell’occasione, Sergio Maria Carbone, professore emerito del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Genova e fondatore dello Studio Carbone e D’Angelo nel capoluogo ligure, aveva spiegato a Formiche.net che i porti italiani sono saldamente nelle mani dello Stato. “Il territorio o gli spazi nei quali si trovano i porti appartengono al demanio marittimo, pertanto sono inalienabili”, aveva spiegato. Con i porti al sicuro alla luce della legge vigente, la differenza, dunque, la fanno le persone, osservava l’esperto. Perché “le autorità portuali non possono che operare all’interno delle linee che vengono definite dal governo e nell’ambito di ciò rientrano anche le funzione e gli obiettivi che i singoli porti si propongono in termini di offerta di servizi e di presenza operativa nei traffici marittimi e commerciali, tenuto conto dei relativi mercati di riferimento”. Ciò non toglie ovviamente che le compagnie cinesi possano rappresentare un rischio per quanto riguarda la presenza nei terminal e la concorrenza.

Mire cinesi sui porti italiani? Ecco tutto ciò che serve sapere

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