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Il voto del Parlamento europeo sul divieto di vendita per le case automobilistiche di motori termici a partire dal 2035? Rischia di significare per l’Unione europea una dipendenza dalla Cina ancor più pericolosa di quella energetica dalla Russia da cui, non senza fatica, i 27 Paesi membri stanno cercando di uscire. Ne è convinto Martijn Rasser, senior fellow e direttore del programma Tecnologia e sicurezza nazionale del Center for a New American Security (Cnas).

L’Europa deve avere un piano pronto che garantisca che le catene di approvvigionamento di minerali critici e terre rare non dipendano più dalla Cina per l’estrazione e la lavorazione, se procederà con il divieto”, spiega Rasser a Formiche.net. In caso contrario, continua, “verrebbero a crearsi vulnerabilità di dimensioni superiori a quelle della dipendenza dell’Europa dalla Russia per il petrolio e il gas”.

In Italia è stata la Lega a farsi portavoce dello scetticismo, dei produttori e non soltanto, verso il voto europeo. Sia il leader Matteo Salvini sia il vice Giancarlo Giorgetti, che è anche ministro dello Sviluppo economico, hanno definito lo stop del Parlamento europeo alla vendita di auto a benzina e diesel dal 2035 come “un regalo alla Cina”.

La battaglia a Bruxelles e Strasburgo, però, è appena iniziata. Infatti, i 27 Stati membri devono raggiungere un approccio comune in seno al Consiglio europeo. Il governo tedesco, storicamente schierato a difesa dell’industria, è già nel mirino delle associazioni della case automobilistiche: i Verdi sono favorevoli al divieto mentre Spd e Fdp appaiono scettici: i socialisti per le preoccupazioni per i posti di lavoro, i liberali per il loro spirito di neutralità tecnologica.

Sebbene garantire un futuro green e all’insegna della sicurezza energetica sia la prima preoccupazione per gli europei, la dipendenza dalla superpotenza cinese in materia di tecnologie energetiche critiche non va sottovalutata. Lo scrivono nel nuovo policy brief  “Circuit breakers: Securing Europe’s green energy supply chains” un pool di ricercatori composto da Agatha Kratz (Rhodium Group), Janka Oertel (European Council on Foreign Relations) e Charlie Vest (Rhodium Group). La Cina, infatti, è diventata un attore sempre più globale per quanto riguarda un’ampia gamma di tecnologie verdi, rendendosi così indispensabile per l’Union europea per realizzare la transizione verde, scrivono. Basti pensare che i parchi eolici costruiti e gestiti da varie aziende cinesi si stanno già facendo strada in tanti Paesi europei, comprese Croazia e Italia. Ma, nel pianificare l’avanzamento della propria transizione, l’Europa non può certo ignorare i rischi collegati all’eventualità di affidarsi a un’altra potenza autoritaria, stavolta in ambito di energia verde.

I decisori politici europei, evidenzia gli esperti, dovranno: fare una nuova valutazione dei rischi geopolitici che influiscono sulla resilienza delle catene di approvvigionamento; ridimensionare l’esposizione verso la Cina; dare priorità alle politiche che favoriscono le imprese; mantenere elevati standard ambientali ed etici per raggiungere la sostenibilità sul lungo termine; collaborare con i partner like-minded per creare catene di approvvigionamento resilienti in ambito di energia verde.

C’è una buona notizia, commenta Rasser. “La necessaria diversificazione della catena di approvvigionamento è realizzabile, soprattutto se l’Europa si coordina con le altre tecno-democrazie del mondo. La domanda è se l’Unione europea abbia la forza politica per realizzarla”, conclude.

Il divieto Ue sulle auto e la dipendenza dalla Cina. Risponde Rasser (Cnas)

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