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Metodo cinese per un problema russo. Mentre il Cremlino continua ad avvitarsi sulla crisi del debito, dagli Stati Uniti arriva un altro siluro. Stavolta c’è qualcosa di già visto, contro un altro nemico, forse più potente della stessa Russia: la Cina. Tutto è partito dal Dipartimento del Tesoro americano, che ha approvato in fretta e furia una norma che nei fatti impedisce agli investitori statunitensi di sottoscrivere nuovo debito russo.

Come noto, per effetto delle sanzioni, oggi Mosca non può pagare propri creditori oltre l’Atlantico, né in rubli né in dollari. L’obiettivo dell’amministrazione Biden d’altronde è quello di portare l’ex Urss a una default pilotato, il primo della storia contemporanea. E che le intenzioni della Casa Bianca siano piuttosto chiare lo dimostra anche l’ultima stretta, rivelata da Bloomberg. Ovvero lo stop agli acquisti di obbligazioni sovrane russe da parte degli investitori americani.

In questo modo l’embargo a stelle e strisce sul debito del Cremlino è pressoché totale: da una parte Mosca non può piazzare i propri bond e tanto meno pagarne le connesse cedole, dall’altra i cittadini Usa non possono sottoscrivere le obbligazioni russe. Il che richiama una norma, chiaramente anti-cinese, risalente ai tempi di Donald Trump e della sua crociata commerciale contro il Dragone. Allora, infatti, fu approvato l’obbligo per tutti i detentori di azioni di società cinesi finite nella black list di Wall Street (rifiutandosi di concedere agli ispettori di Washington di visionare i libri contabili scattava l’automatica, ma non immediata, sospensione dai listini) di liberarsi delle medesime partecipazioni. E di non rastrellare nemmeno una sola azione riconducibile alle suddette aziende.

Più o meno è accaduto con la Russia. Nelle scorse settimane le banche statunitensi che hanno negoziato obbligazioni societarie e sovrane russe hanno affrontato critiche negli Stati Uniti. La senatrice Elizabeth Warren, per esempio, ha attaccato duramente gli istituti, rei di aver minato le sanzioni occidentali.

Attenzione, non tutti sono però convinti che un default della Russia, pilotato o meno che sia, possa sancire la fine della guerra in Ucraina. Per esempio dalle parti del Washington Post c’è la profonda consapevolezza che solo un vero stop alle forniture di gas russo possa mettere il Cremlino in ginocchio. “La principale vulnerabilità economica della Russia resta l’esportazione di petrolio e gas. È qui che gli Stati Uniti e i loro alleati devono mantenere la concentrazione”, si legge in editoriale del quotidiano americano.

Per il quale “forzare la mano verso un’insolvenza della Russia non colpirà i creditori più di quanto non siano già stati colpiti, perché la maggior parte del debito è già stata venduta o svalutata. Per questo un default non porrà fine alla guerra. Per portare avanti tale obiettivo, invece, l’alleanza occidentale deve concentrarsi sull’arresto delle importazioni russe di componenti industriali e, soprattutto, sul contenimento delle sue esportazioni di petrolio e gas”.

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