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Negli ultimi giorni su Taiwan si sono riaccese le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Il dipartimento di Stato di Washington ha rimosso dalla sezione del sito web sulle relazioni con Taiwan la dicitura sul non sostenere l’indipendenza di Taiwan e sul riconoscere la posizione di Pechino che Taiwan è parte della Cina. Per l’amministrazione Biden l’aggiornamento non riflette un cambiamento nelle politiche. Ma il ministero degli Esteri cinese ha accusato gli Stati Uniti di “manipolazione politica”.

Taiwan è in cima alle priorità di entrambe le superpotenze. Per il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping, adottare una politica estera più aggressiva rispetto ai suoi predecessori è parte di una dimensione identitaria. Una potenza che si proietta come globale non può pensarsi doppia, ossia Pechino non può accettare l’esistenza di due Cine, la Repubblica popolare e la Repubblica di Cina – Formosa e i suoi arcipelaghi. I funzionari statunitensi temono che questa narrazione possa spingersi fino a un punto di rottura, quello in cui Xi ordia un’invasione di Taiwan, partner degli Stati Uniti. Per il leader sarebbe anche un modo per rafforzare la sua eredità nella storia del Paese (colui che ha riunificato le Cine dopo l’autoesilio dei nazionalisti del Kuomintang).

La Cina sta osservando “molto, molto attentamente” ciò che sta accadendo in Ucraina e la risposta globale all’aggressione militare della Russia. L’ha spiegato il tenente generale Scott Berrier, direttore della Defense Intelligence Agency, in audizione al comitato Forze armate del Senato degli Stati Uniti. Il riferimento è Taiwan: Pechino “preferirebbe non usare la forza militare per prendere Taiwan”, ha dichiarato nella stessa occasione Avril Haines, direttore dell’Intelligence nazionale. “Preferirebbero usare altri mezzi”, ha aggiunto parlando di pressione diplomatica ed economica. Tuttavia la minaccia di una presa di potere militare da qui al 2030 rimane acuta, ha spiegato.

I cinesi “penso stiano imparando alcune lezioni molto interessanti dal conflitto ucraino”, ha detto Berrier, sottolineando come la leadership del presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia ispirato le forze, il successo di piccole unità militari tattiche contro le unità russe incapaci di agire in modo indipendente e “l’addestramento efficace con i giusti sistemi d’arma”. Per questo, “dobbiamo impegnarci” con la leadership di Taiwan “per aiutarli a capire che cosa è stato questo conflitto, quali lezioni possono imparare e dove dovrebbero concentrare i loro dollari sulla difesa e la loro formazione”.

Ma come? Secondo l’amministrazione Biden, Taiwan dovrebbe preferire droni, missili anticarro Stinger e antiaerei Javelin, che sono meno vulnerabili alle armi avanzate della Cina. È scritto nero su bianco in alcune lettere rivelate da Politico. Washington sta cercando di convincere Taipei a seguire la lezione ucraina, rafforzare la sua strategia di difesa cosiddetta del “porcospino” e comprare armi e mezzi in grado di proteggere l’isola dalla Cina respingendo alcune richieste di mezzi pesanti come l’elicottero MH-60R Seahawk, ritenuti dagli Stati Uniti utili solo in tempo di pace.

Per Washington questo rafforzamento serve a far acquisire uno standing indipendente a Taiwan, ossia farla diventare in grado di reagire da sola a un attacco cinese senza che gli Usa siano chiamati a un intervento diretto e immediato. Trasformare un’eventuale invasione anfibia (asset su cui Pechino sta rafforzando le truppe) in una disfatta come successo a Kiev per certi versi. Ma, come ha raccontato il New York Times, di mezzo ci sono anche le divergenze nel governo di Taipei: la presidente Tsai Ing-wen sta cercando di orientare l’esercito verso la guerra asimmetrica scontrandosi con la resistenza di alcuni funzionari della Difesa.

La risposta statunitense sembra la dimostrazione del fatto che l’amministrazione Biden ritiene la minaccia di un’invasione sempre più urgente. “Vogliamo essere un partner. Ciò comprende anche avere conversazioni difficili”, ha detto un funzionario degli Stati Uniti a Politico. “Se le loro risorse sono limitate, dovrebbero spenderle in modi utili per rendere complicata un’invasione”. “Sento che c’è stato un cambiamento”, ha detto Bonnie S. Glaser, analista dell’Asia orientale al German Marshall Fund, al New York Times. “È iniziato prima dell’invasione dell’Ucraina, ma penso che si sia consolidato da allora. C’è stato questo campanello d’allarme nel Pentagono per assicurarsi che Taiwan faccia sul serio, e anche noi dobbiamo fare sul serio”, ha aggiunto l’esperta.

L’evoluzione della situazione in Ucraina può essere usata in qualche modo per mandare messaggi a Pechino su Taiwan. Se Vladimir Putin dovesse in qualche modo perdere presa sul Paese e si arrivasse a qualche forma di leadership change, per Xi sarebbe un segnale molto chiaro sul rischio di eccessivi avventurismi. Allo stesso tempo, se la guerra dovesse incancrenirsi verso un conflitto a medio-bassa intensità che sfianca la Russia, alla Cina arriverebbe un input analogo: meglio evitare di fagocitare un porcospino indigeribile.

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