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In un momento in cui l’efficacia operativa dei sottomarini nucleari e il loro posizionamento torna al centro dello scenario geopolitico globale, Kyiv mette a segno un duro colpo alla flotta russa.

La Direzione dell’intelligence della difesa ucraina (Diu), ha dichiarato di aver hackerato il Knyaz Pozharsky, l’ultimo e più avanzato sottomarino nucleare balistico di Mosca, sottraendo un pacchetto di informazioni classificate che comprende elenchi dell’equipaggio, istruzioni di combattimento, diagrammi tecnici, programmi operativi e rapporti di ingegneria. L’operazione potrebbe compromettere non solo la sicurezza del singolo battello, ma anche quella dell’intera classe Borei-A, cuore della componente subacquea della triade nucleare russa.

Un colpo alla deterrenza artica

Il Knyaz Pozharsky, entrato in servizio alla fine di luglio e di stanza a Gadzhiyevo, nell’Oblast’ di Murmansk, rappresenta uno degli asset più sofisticati di cui dispone il Cremlino. Progettato per il lancio di missili balistici intercontinentali R-30 Bulava, con 16 silos capaci di ospitare fino a dieci testate ciascuno, il sottomarino costituisce un pilastro della deterrenza strategica di Mosca, insieme ai missili terrestri e ai bombardieri strategici. L’hacking denunciato da Kyiv arriva in un momento in cui la Russia sta intensificando la propria postura militare nell’Artico, trasformando la regione in un laboratorio di geopolitica del ghiaccio, intrecciando deterrenza nucleare, risorse naturali e rotte marittime emergenti.

La Diu ha sottolineato che le informazioni sottratte permettono di «identificare le caratteristiche e le limitazioni tecniche non solo del Knyaz Pozharsky, ma anche degli altri sottomarini del progetto 955A», che costituiscono la spina dorsale della flotta strategica del Nord. Se confermato, il colpo inflitto all’intelligence russa rievoca l’operazione “Spider’s Web” dello scorso giugno, quando droni ucraini colpirono gli aeroporti militari russi distruggendo diversi velivoli d’aviazione strategica, anch’essi parte della triade nucleare.

Lo scacchiere

Solamente pochi giorni fa, le marine militari di Mosca e Pechino conducevano esercitazioni antisommergibile nel Mar del Giappone, mentre, su ordine del presidente Trump, due sottomarini nucleari statunitensi venivano riposizionati in aree “appropriate”, in risposta a dichiarazioni provocatorie dell’ex presidente Dmitry Medvedev. In questo clima di escalation simbolica e strategica, la capacità operativa di penetrare nel cuore della deterrenza russa assume un peso che va oltre l’aspetto tecnico, impattando sulla credibilità della deterrenza antioccidentale.

L’eco geopolitico dell’operazione assume ancora più valore perché all’interno dello scenario Artico, nel quale Mosca da oltre un decennio sta ampliando la propria sfera d’influenza, vengono tracciati corridoi logistici che riducono la dipendenza da snodi controllati da potenze straniere. Contemporaneamente, la regione è un tesoro di idrocarburi, gas e minerali che il Cremlino punta a sfruttare, anche in competizione silenziosa con la Cina, che nel 2018 ha lanciato la propria “Via della Seta Artica”.

La Flotta del Nord, che gestisce i sottomarini Borei, è il cardine di questa strategia. Le sue regolari pattuglie, sotto i ghiacci e le esercitazioni in condizioni estreme, servono a dimostrare la capacità russa di proiettare potenza e di mantenere un deterrente credibile anche nelle aree più remote del pianeta. Per Putin, la triade nucleare resta la garanzia della sovranità russa, come ha dichiarato anche durate il varo del Knyaz Pozharsky, annunciando anche l’arrivo di sei nuovi sottomarini nucleari entro il 2030, dotati di droni subacquei a propulsione nucleare Poseidon.

L’operazione ucraina assume così un valore differente, capace di minare il mito dell’invulnerabilità nucleare russa e di esporre le fragilità di un gigante che fa del potere militare imperiale la propria narrativa identitaria.

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