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Dopo anni di basso profilo, l’ex presidente americano Barack Obama ha scelto la sua battaglia: combattere la disinformazione digitale. Lo aveva già accennato di recente, quando aveva parlato di quanto siano vulnerabili le istituzioni americane davanti ai diffusori seriali di bufale, i quali – ha avvertito – possono rappresentare una minaccia esistenziale per la democrazia. Ora sembra voler intervenire a monte: sui meccanismi che amplificano la disinformazione.

In un discorso all’Università di Stanford, nel cuore pulsante della Silicon Valley, Obama ha parlato delle potenzialità di un internet libero e aperto, riconosocendo che senza i social media forse non sarebbe finito alla Casa Bianca. “Gli attivisti usano le piattaforme per registrare il dissenso, far luce sulle ingiustizie e mobilitare le persone su questioni come il cambiamento climatico e la giustizia razziale”, ha detto.

Poi, un mea culpa: anche quando era presidente, ha ammesso, non aveva colto “quanto siamo diventati suscettibili alle bugie e alle teorie complottiste”, una manchevolezza per cui tuttora prova rimorso. Dopodichè l’ex presidente è passato a parlare del ruolo delle Big Tech nel fomentare le divisioni sociali, aumentare la portata della disinformazione, erodere la fiducia nelle istituzioni democratiche. Con conseguenze dirette, come le morti evitabili da Covid-19 o il successo di modelli più autocratici.

“Il nostro nuovo ecosistema dell’informazione sta mettendo il turbo ad alcuni dei peggiori impulsi dell’umanità”. Certe piattaforme lo hanno fatto intenzionalmente e certe no, ha continuato, ma il risultato è una democrazia più vulnerabile. “Sono convinto che le tendenze a cui assistiamo peggioreranno se non facciamo nulla”, ha detto Obama, prima di identificare i problemi principali: anzitutto il modo in cui le piattaforme sono progettate promuove lo scandalo e l’indignazione e le aziende che le mantengono hanno prestato troppa poca attenzione alla qualità delle informazioni che viaggiano più lontano e più velocemente.

Il nodo è la trasparenza algoritmica, e secondo l’ex leader del mondo libero, le piattaforme dovrebbero spiegare ai regolatori le minuzie del funzionamento dei propri meccanismi di raccomandazione. E ancora: aggiungere degli “interruttori nel circuito” per rallentare la diffusione dei post virali e dare il tempo ai fact-checker di rivederli, consentire l’accesso ai ricercatori accademici nei loro sistemi, finanziare redazioni senza scopo di lucro – cose che finora le Big Tech hanno evitato di fare, o lo hanno fatto in maniera molto limitata.

Infine, secondo Obama, i legislatori non sono stati in grado di regolamentare efficacemente. “Senza alcuni standard, le implicazioni di questa tecnologia per le nostre elezioni, per il nostro sistema legale, per la nostra democrazia, per il regime probatorio, per il nostro intero ordine sociale, sono spaventose e profonde”. Assieme alle soluzioni di trasparenza algoritmica, questo commento è una strizzatina d’occhio a quegli sforzi europei di regolamentazione che lui stesso, da presidente, osteggiava per difendere i gioielli dell’economia americana.

Obana disinformazione

Obama torna in campo contro la disinformazione digitale

L’ex presidente americano è sempre più impegnato sul fronte delle bufale online. In un discorso a Stanford ha ammesso di non aver colto l’entità del problema in passato e ha offerto delle soluzioni (dal retrogusto europeo) per salvare la tecno-democrazia: trasparenza algoritmica, rallentamento della viralità, standard legali

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