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No, non ci sarà una Lehman Brothers cinese. Ma non per questo le cose per il Dragone. La seconda economia globale, in pieno psicodramma da crisi bancaria e immobiliare, con ogni probabilità non sperimenterà sulla propria pelle gli eventi del 2008 che segnarono prima l’economia americana e poi quella mondiale. Ma potrà dire addio alla crescita forsennata alla quale Pechino ha abituato l’Occidente in questi anni. Niente più numeri da capogiro, niente più exploit, un piede nell’anemia, l’altro nella ripresa.

Chissà se a Pechino sono pronti a questo, di certo secondo gli esperti di Foreign Affairs, che al caso cinese hanno dedicato un editoriale, il destino è segnato. La bolla del mattone, il crack dei giganti immobiliari e la violenta crisi delle banche di territorio freneranno per i prossimi anni l’economia cinese, impedendole di raggiungere i target di crescita visti in passato. Premessa, “il sistema finanziario del Paese, sostenuto dallo Stato, è ancora in grado di sostenere ingenti perdite, evitando così un tracollo finanziario. Un istituto di credito statale può mettere denaro a disposizione di un altro istituto statale, limitando la possibilità che le perdite sui prestiti a un’impresa immobiliare fallita portino al collasso dei suoi creditori, innescando una cascata di insolvenze”.

Tradotto, ad oggi la Cina può reggere l’urto di uno shock finanziario, perché nei fatti può stampare nuova moneta, oltre a poter contare un un forte ma anche ingombrante sostegno politico, per mezzo del partito. “Il governo cinese può chiedere alle imprese immobiliari di completare progetti edilizi abbandonati da società private, fornendo aiuto finanziario attraverso le banche statali. L’intervento pervasivo del governo non è il modo migliore per gestire un’economia nel tempo, ma la presenza di istituzioni con tasche profonde può impedire il ritiro destabilizzante di tutti i finanziamenti al mercato immobiliare”.

Dunque? “La Cina probabilmente non subirà una crisi che ricordi la grande recessione americana del 2008. Ma questo non significa che l’economia cinese sia al sicuro. Un nuovo motore di crescita non sostituirà automaticamente la spinta fornita tradizionalmente fino a poco tempo fa dal settore immobiliare. Se la Cina decidesse di puntare sulla crescita aumentando le esportazioni, per esempio, come ha fatto in passato, ciò potrebbe avere serie implicazioni per i Paesi di tutto il mondo che stanno lottando per ritrovare il loro equilibrio economico dopo gli shock della pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”.

Anche qui il messaggio appare chiaro. Il mattone per l’economia cinese vale poco meno del 30% del Pil. Ma senza quel motore, scivolato in una crisi profonda da ormai due anni, sarà difficile se non impossibile per il Dragone tornare a crescere come si deve. “La Cina può cercare di gestire un calo permanente degli investimenti immobiliari adottando misure per sostenere e rafforzare la domanda delle famiglie e trovando nuovi modi per aiutare i settori industriali che si sono basati su investimenti immobiliari eccessivi a riattrezzarsi per soddisfare la domanda interna dei consumatori. Ma, soprattutto, i funzionari del governo cinese devono accettare questa difficile verità: l’aumento del debito interno e la fine di un periodo di investimenti insolitamente elevati significano che la storica impennata di crescita della Cina appartiene molto probabilmente al passato”.

Addio turbo-Pil. Il conto per la Cina (che eviterà la sua Lehman)

Il crollo del mattone con annessa crisi bancaria, si è trasformato in un’ipoteca sulla crescita del Dragone, che deve prepararsi a dimenticare le accelerazioni del passato. In compenso il sistema finanziario terrà. Ecco cosa sostengono gli analisti di Foreign Affairs

 

 

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