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Donald Trump, alla sua maniera e con i suoi metodi, sta vincendo la battaglia commerciale. E lo sta facendo a suon di accordi, l’ultimo dei quali, forse il più importante, raggiunto con l’Europa, cinque giorni fa. Per Francia e Spagna si è trattato di una resa incondizionata e anche alla Germania il boccone è andato di traverso. Più morbida, forse realista, l’Italia. Della serie, meglio un dazio al 15% che al 25% o al 30%.

Ma queste vittorie di Trump, sotto forma di accordi di alto livello, seppur abbozzati sommariamente tra diverse grandi economie, rappresentano un preludio a una più vasta vittoria della guerra commerciale? Per il momento vanno messe agli atti alcune constatazioni. Per esempio, l’introduzione del regime di tariffe più elevate da parte dell’amministrazione americana non ha avuto un impatto significativo sui dati relativi all’inflazione negli Stati Uniti e i timori iniziali di una recessione sembrano, ad oggi, esagerati. E poi, le entrate per gli Usa derivanti dai dazi stanno aumentando, raggiungendo i 27 miliardi di dollari solo nel mese scorso, a sostegno della tesi della Casa Bianca secondo cui le tasse sulle importazioni sono sulla buona strada per diventare una fonte di entrate significativa che riduce il deficit di bilancio.

Fin qui potrebbe sembrare un successo di Trump, specialmente sul versante dei conti pubblici. Un dividendo da distribuire agli elettori repubblicani in vista delle mid terms. C’è chi poi si è spinto oltre, come l’analista Peter Harrell, nonresident fellow al Carnegie Endowment for International Peace ed ex consigliere economico di Biden. “L’accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione europea garantisce un’importante stabilità alla più importante relazione commerciale degli Stati Uniti”, premetta Haller in post pubblicato su Linkedin. “L’Ue ha accettato un dazio statunitense del 15% e di rimuovere dazi significativi propri, tra cui quelli sui beni industriali statunitensi e inclusa l’auto. Ebbene, questa è una vittoria per il settore automobilistico dell’Ue, che attualmente paga dazi agli Stati Uniti del 27,5%. Inoltre l’accordo garantisce stabilità al settore farmaceutico che può anche mitigare l’impatto dei dazi giocando con i prezzi intra-aziendali. Acciaio, alluminio (e rame) dell’Ue sono ancora soggetti a dazi del 50%, ma alcuni rapporti indicano che, come nel Regno Unito, potrebbe essere imminente un sistema di quote”, scrive Harrell.

Conclusione. “L’Europa ha ceduto alla maggior parte delle richieste di Trump, con una vittoria per la sua politica commerciale. Tuttavia, per la stessa Unione, la stabilità è meglio del caos. Inoltre, Trump ha favorito l’Europa sulle questioni Russia-Ucraina, che sono almeno altrettanto importanti per i Paesi membri, almeno quanto il commercio. L’allentamento delle restrizioni sulle armi all’Ucraina da parte di Trump e la sua recente linea leggermente più dura nei confronti di Putin sono anch’esse vittorie per l’Ue”. Non è finita. “I dazi del 15% colpiranno certamente i margini degli importatori e/o i costi per i consumatori. Tuttavia, per molti prodotti gli aumenti di prezzo saranno gestibili”.

Sui dazi Trump ha fatto il suo gioco. Ma anche l'Europa ha da guadagnarci

Non è vero che l’accordo raggiunto in Scozia è a senso unico, perché per gli Usa ci sarà un ritorno positivo, soprattutto in termini di entrate, ma anche il Vecchio continente ne trarrà vantaggi. L’analista del Carnegie ed ex consigliere di Joe Biden, Peter Harrell: con questa intesa l’Ue ci guadagna in più stabilità e meno caos

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