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Il tema della trasparenza, e in particolare delle interferenze russe, sulle campagne elettorali viene affrontato in questi giorni con grande determinazione dal Cyber Command degli Stati Uniti in vista delle elezioni di metà mandato. Con la disinformazione russa non si può scherzare. A questo proposito, è opportuno ricordare a personalità un po’ smemorate le parole limpide e solenni pronunciate in Parlamento da Mario Draghi. BellingCat ha dato notizia dell’ennesimo caso di spionaggio russo nel nostro Paese. Anche per questo, dobbiamo alzare la guardia durante la campagna elettorale, come ha sottolineato più volte all’unanimità il Copasir con il suo presidente Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia.

A che punto siamo in Italia in materia di trasparenza politico-elettorale? La legge elettorale vigente prevede che sul sito Internet del ministero dell’Interno sia istituita un’apposita sezione denominata “Elezioni trasparenti”. Questa sezione prevede una novità interessante ma poco nota. Sulla base di una disposizione del 2019 i candidati alla Camera e al Senato saranno obbligati a presentare al ministero dell’Interno per la pubblicazione il proprio curriculum vitae e il proprio certificato del casellario giudiziale. Ovviamente, gli uffici del Viminale non hanno il compito di verificare il contenuto dei documenti inoltrati dai candidati né la loro conformità rispetto a quelli già pubblicati nel sito Internet del loro partito, movimento politico, lista o candidati collegati. Il ministero effettuerà esclusivamente i controlli di rispondenza alle regole tecniche: la verifica del file nel formato PDF e la sua integrità, l’assenza di password per la lettura; l’assenza di virus informatici o malware, l’assenza di link esterni, la presenza della attestazione di conformità. Qualora il documento non superi le verifiche tecniche esso sarà automaticamente rifiutato con la segnalazione del tipo di errore. In tale caso, entro l’ottavo giorno antecedente la data della votazione i candidati trasmettono (con le credenziali indicate i documenti rispondenti alle prescrizioni tecniche). Qui il link al sito del Viminale per chi ne vuole sapere di più.

Tra qualche giorno sarà interessante esaminare in modo comparativo il materiale inoltrato dai candidati. Dato il mio ambito di studi relativo alla politica internazionale intendo concentrare l’attenzione su eventuali posizioni rispetto alle autocrazie e all’aggressione russa in Ucraina. Per quanto riguarda il certificato del casellario giudiziale dei candidati ogni cittadino si farà la sua opinione. Mi auguro vivamente che nessun dimentichi la regola aurea della presunzione di innocenza che caratterizza lo Stato di diritto nelle democrazie asiatiche e occidentali.

Sul curriculum vitae vale la pena spendere qualche parola in più. La prima cosa che mi è venuta in mente è la lunghezza di ben 28 pagine di quello presentato nel 2018 dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, oggi alla guida del Movimento 5 Stelle. Nel 2018 il documento appariva sin troppo dettagliato e sembravano esserci contenere tre o quattro riferimenti incongruenti segnalati dal fact-checking di AGI. Con il senno del poi, non è stato il curriculum vitae l’aspetto più controverso dell’esperienza di governo di Conte. Sulle colonne Formiche.net non ho fatto mistero delle critiche all’intesa con la Cina sulla Via della Seta (soprattutto in riferimento alla Digital Silk Road) e alle sue relazioni con l’ex presidente statunitense Donald Trump.

Mettere a disposizione degli elettori un curriculum dettagliato è (oltretutto in assenza di preferenze) uno strumento utile per gli elettori. Per farmi capire cito solo un esempio: il caso di Carlo Calenda, che è stato il coordinatore di Italia Futura, il think thank voluto nel 2009 da Luca Cordero di Montezemolo in vista di una sua possibile discesa in campo. Ricordo di aver seguito i contenuti pubblicati sul sito di Italia Futura con notevole interesse e curiosità, ma non ho mai aderito. Nell’estate del 2011 mi colpirono, infatti, negativamente le dure parole di Cesare Romiti in un’intervista con Giovanni Minoli. Una capacità importante di un leader politico è quello di ammettere gli errori compiuti. Per questo mi piacerebbe conoscere una riflessione (magari anche autocritica) del leader di Azione-Italia Viva sulla sua lunga collaborazione manageriale e politica con Luca Cordero di Montezemolo.

L’esigenza di trasparenza riguarda anche altri candidati. Sempre su Formiche.net, ho avuto modo di segnalare che il ministro Stefano Patuanelli, del Movimento 5 Stelle, l’onorevole Enza Bruno Bossio e altri esponenti del Partito democratico hanno difeso le ragioni di Huawei in polemica con gli allarmi lanciati del Copasir sul ruolo delle aziende cinesi nel 5G.

Quando si affronta il tema delle elezioni trasparenti un altro aspetto estremamente rilevante che ho già in parte anticipato un mese fa sul tema dell’uso dei social , é quello dei finanziamenti ai partiti per la campagna elettorale. Purtroppo in Italia la normativa vigente in materia di finanziamenti ai partiti (ma sino alle recentissime modifiche volute dal presidente Draghi lo stesso problema valeva, per esempio, per il Golden Power) non è di grande aiuto. La normativa sulla trasparenza politico-finaziaria dei partiti e dei candidati alle elezioni si basa, infatti, sulla arcaica nozione giuridica degli esclusivi controlli ex post.

Supponiamo che tra 18 mesi le società di revisione dei partiti e/o l’apposita Commissione del Parlamento accerti che nella campagna elettorale del 2022 un partito politico – o anche un solo candidato – abbia violato i divieti di finanziamenti e/ o che abbia presentato una documentazione incongruente. Scatteranno sanzioni nonché eventuali inchieste se ci fossero notizie di reato, ma non serviranno a molto, ormai la frittata è fatta. Ciò che i cittadini vorrebbero sapere è chi finanzia (e quanto e come finanzia) le forze politiche e i candidati per le spese della campagna elettorale in corso, quella appena iniziata.

Sinora ho parlato di Movimento 5 stelle, Partito democratico e Azione-Italia Viva.  A questo punto per par conditio chiamo in causa il centrodestra.

Chiunque si fermi a prendere il caffè in uno delle centinaia di aree di servizio lungo le autostrade italiane trova grandi schermi messi a disposizione degli automobilisti. Le immagini in diretta sull’andamento del traffico, sugli ingorghi, sugli snodi più importanti e nelle gallerie (e le relative informazioni meteo) sono intervallate da spot pubblicitari sui prodotti e servizi commerciali più svariati. Da qualche giorno sugli schermi delle aree di servizio appare un consistente volume di spot elettorali dedicati alla Lega, a Fratelli d’Italia e, infine, con una lunghezza e frequenza maggiore a Forza Italia. Quanto costano gli spot che sugli schermi degli autogrill? Chi paga? Come si ripartiscono le spese tra i tre partiti? Ci sono sconti particolari (e se si a quanto ammontano?) da parte della concessionaria di pubblicità? Non sono segreti, ci saranno bonifici bancari, entro aprile tutto dovrà o almeno dovrebbe essere rendicontato. Allora perché non giocare subito a carte scoperte?

Ovviamente il discorso non vale solo per il centrodestra e i suo spot negli autogrill, ma per tutti i partiti e tutti i candidati per dare trasparenza all’insieme dei finanziamenti promessi, ricevuti e preventivati per la campagna elettorale.

L’Agcom dovrebbe quantomeno rompere il ghiaccio con qualche suggerimento soft in merito da concordare, ma sembra occuparsi soltanto dei duelli di Bruno Vespa a Porta a Porta. Toccherebbe a questa autorità fare la prima mossa con i suoi buoni uffici, speriamo che accolga questo suggerimento.

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