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Il riconoscimento dell’indipendenza limitatamente alle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk e il successivo ingresso armato in configurazione di un’autolegittimata operazione di peacekeeping, costituisce la formalizzazione di un controllo di profondità che è già in essere su tale territorio da anni attraverso le sinergie operative tra popolazione russofona, miliziani separatisti filo-russi, personale Wagner e intelligence russa, supportata da capacità cyber asimmetrica.

In una fase particolarmente complessa delle diverse negoziazioni più o meno visibilmente in corso al fine di scongiurare il conflitto, la decisione del presidente russo appare volta principalmente ad imprimere l’accelerazione delle operazioni militari con l’obiettivo non di conquistare Kiev, ma  di garantirsi il controllo diretto di un territorio caratterizzato da continue turbolenze e scontri che degenerando avrebbero depotenziato l’autorevolezza russa, quindi l’efficacia strategica della pressione delle truppe regolari, sulla linea di confine.

Alla luce di quanto sta accadendo in queste ore, se è vero che la Russia non può portare indietro l’orologio della storia, per ripristinare la centralità strategica della potenza sovietica, è altrettanto vero che data la sua specifica natura disruptive, essa risulta in grado di imprimere un’imponente accelerazione nel sistema di relazioni interne al quadro occidentale, come evidenzieranno le reazioni delle prossime ore e giorni.

Da parte della Russia, l’obiettivo primario sembra non essere l’aggressione diretta dell’Ucraina o il dichiarare indirettamente guerra alla Nato, ma l’accelerazione del processo di (ri-)definizione dello spazio difensivo, attraverso una (ri-)attestazione regionalizzata della propria sfera d’influenza nello spazio post-sovietico, in corrispondenza di una rigida architettura di sicurezza europea ancora frutto delle negoziazioni Usa-Urss, in cui si evidenzia come in Ucraina la fluidità operativa pro-russa.

Nonostante la proiezione militare, l’operazione in corso sembra, quindi, celare un intento profondamente difensivo che non può non dipendere fattivamente dalla necessità preventiva di complessivo indebolimento dello spazio occidentale.

Tale strategia sembra sostanziarsi, quindi, nell’indurre la repentina (re-)azione rispettivamente della sinora piuttosto assopita Nato e dell’ancora poco consistente Agenzia europea per la difesa (Eda), in un quadro occidentale caratterizzato soprattutto dalla complessità degli impatti pandemici e delle profonde lacerazioni di medio e lungo termine internamente ai singoli Stati – tra l’altro come per l’Italia in condizioni di forte dipendenza energetica dalla Russia – che sembrano proiettarsi sempre più nella politica estera forse per consolidare le rispettive leadership indebolite dalle evidenti criticità di gestione delle tensioni sociali, economiche e politiche interne in un contesto ancora non compiutamente post-pandemico.

In queste ore assistiamo all’inondazione di video pro-russi in cui la popolazione locale accoglie con gioia l’ingresso dei militari. La complessità dell’information warfare russo risiede nella multidimensionalità militare, cyber e informativa che si sostanzia al contempo nello pseudo-conflitto e “assedio cognitivo” che, contrariamente all’approccio occidentale, non si fonda su di un modello interpretativo a fasi.

Tanto è vero che al di là dell’applicabilità o meno del concetto di guerra ibrida allo scenario in fieri, l’azione minacciosa russa sul campo non può essere compresa isolandola dal flusso informativo-aggressivo che persiste da anni all’interno della sfera d’influenza russa.

Le operazioni disinformative false-flag condotte nell’ecosistema mainstream russo, costituito tra le altre emittenti, da RT, Sputnik, Tass, MKRU, sono costantemente sostenute dai gruppi social all’interno delle piattaforme decentralizzate online. Queste a loro volta sono strutturate su sistemi di narrazioni che rispondono alla necessità di costruire e rinforzare un framework interpretativo dello scenario ucraino attraverso cui evidenziare la fragilità della leadership ucraina. L’obiettivo è delegittimarla, insieme alla vittimizzazione delle minoranze russofone e le ritorsioni governative a loro danno, nonché la condanna della la minaccia statunitense, in particolare attraverso i suoi legami con i membri esteuropei e baltici della Nato.

Proprio per questo, occorre distinguere la propaganda tradizionale più o meno centralizzata dall’orizzontalizzazione della “propulsione” ossia come deve essere intesa la propaganda oggi nella crescente individualizzazione globalizzata dell’ecosistema (cyber-)sociale.

Infatti, l’intensa attività condotta da ciascuna delle parti in causa, soprattutto Russia e Stati Uniti, nello spettro informativo, rivolta in particolare all’audience pubblica nazionale e globale, attraverso la naturale proiezione online, configura il più classico degli assetti tipici del conflitto di potenze tradizionalmente inteso, potremmo dire riconducibile al recente passato della Guerra Fredda.

Da giorni si assiste al susseguirsi delle rivelazioni all’opinione pubblica dei piani dell’avversario, della disseminazione di immagini e video relativi alla mobilitazione umana, sia essa militare con il dispiegamento di forze e mezzi, o civile con lo sfollamento e/o con l’organizzazione paramilitare sul territorio, uno dei prodotti mediali più efficaci, nel quadro della propaganda tradizionale, in termini di rappresentazione/percezione dell’insicurezza.

Qui i crowdsourced data condivisi sulle più comuni piattaforme social, non solo russofone alimentano giorno dopo giorno tanto a livello globale quanto dei singoli Stati, l’attività OSINT, sia istituzionale che indipendente, utile per la definizione e conoscenza del teatro, ma anche oggetto di attività distorsiva nell’ambito della propaganda tradizionalmente intesa.

Nello stesso momento, all’interno dell’ecosistema (cyber-)sociale, lo scenario ucraino contribuisce all’accelerazione del processo di “militarizzazione” social delle infosfere estremistico-violente occidentali che porta giorno dopo giorno alla gemmazione e attestazione di quelli che possono essere definiti “ibridi della guerra”. Qui, la (cyber-)socializzazione dell’autoritarismo trova riscontro nell’audience che si riconosce da tempo attorno alla centralità della “triade forte” Putin, Trump e Xi a cui si auspica incessantemente di affidare, tanto nel presente quanto nel futuro, il destino globale.

Per altro verso, all’allineamento, seppur “scomposto” in termini negoziali, di Ue e Nato sul piano politico e diplomatico, in funzione pro-Ucraina, corrisponde online la proliferante disseminazione di narrazioni decentralizzate cross-platform che, intendendo evidenziare la fragilità delle leadership occidentali, in particolare Usa, Canada, Francia, Belgio, Olanda e Germania, integrano il tema della crisi ucraina con quelli dell’antivaccinismo, della violenza/repressione dei governi, del soffocamento della libertà d’espressione e manifestazione, del controllo dei media e della disinformazione di Stato. Approfittano della vicinanza di importanti finestre elettorali, come nel caso delle prossime elezioni presidenziali francesi, o delle forti divisioni conflittuali politico-interne, come nel caso degli Usa, per concentrare campagne reputazionali, anche attraverso il memetic warfare, nonché operazioni trolls’n’bots per la disseminazione di campagne disinformative d’intensità e profondità variabile, a seconda del target, attraverso le più comuni social media platform soprattutto per favorire la polarizzazione delle audience interne ai singoli Stati.

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