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Nell’Ucraina, grande ma circondata, le colonne dell’esercito russo continuano ad avanzare. Lentamente, ma inesorabilmente. Ciascuno degli obiettivi militari di una campagna elaborata per anni al tavolino in attesa di un momento favorevole, sembra destinato ad essere conseguito. Battaglia dopo battaglia. Il rapporto di forze è numericamente molto favorevole, e l’esito finale sembra fuori discussione.

Ci sono tuttavia dei fattori che, militarmente parlando, ancora non consentono a Vladimir Putin di cantare vittoria. Primo, la migliore pianificazione, sia pure in preponderanza di forze, non si realizza mai al di là del cinquanta per cento. Questo, per il semplice motivo che difficilmente il nemico si comporta come  piacerebbe a noi. Lo abbiamo verificato direttamente sul campo anche noi trent’anni fa, operando in Desert Storm.

Il resto è affidato alla flessibilità ed alla libertà di manovra dei comandanti. Ma la struttura militare russa ricalca ancora quella sovietica, che certo non brillava per capacità di delega. Secondo, il tempo che passa per i russi è un collaboratore inaffidabile, e vedremo perché. Terzo, vincere le battaglie è certamente indispensabile, ma ciò non sempre è sufficiente a vincere davvero la guerra. Per esempio, vincere e poi finire i propri giorni in carcere per ordine di un Tribunale internazionale non è quello che si suole definire il migliore dei risultati.

Proviamo a porre la lente sul primo fattore. La pianificazione strategica evidentemente viene da lontano e, con il senno di poi, è ovvio che Putin voglia possedere, o almeno controllare, tutta l’Ucraina. Quantomeno, ha bisogno che sia neutrale e non ospiti unità od armi dell’Alleanza. Così, a partire da otto anni orsono, si è premurato a disporre sul territorio tutti gli avamposti a 360 gradi, mettendosi poi in tasca le chiavi di ogni cancello d’ingresso.

Si spiegano solo così l’annessione della Crimea, il blocco del Mar d’Azov, il problema creato in Transinistria, quello in Moldavia , la striscia per raggiungere Odessa e la nuova familiarizzazione con la fedele Bielorussia. Ciò fatto, non restava che attendere il momento favorevole per mettere le chiavi nelle serrature di tutti i cancelli e aprirli contemporaneamente. Questo momento è venuto quando si è verificata la congiuntura tra il prevedibile comportamento della presidenza Biden, che, usufruendo quasi per intero del vecchio staff di Obama, ha cominciate a ripeterne i principali errori, e l’abdicazione dei Paesi europei al concetto di indipendenza energetica, seguendo una moda messa in scena da miti e da imbonitori. L’Italia ne sa qualcosa.

Venendo al fattore Tempo, questo ha giocato alla compagine militare russa un pessimo scherzo. Quando Putin ha giudicato finalmente realizzata la congiuntura minima necessaria per passare all’attuazione del suo piano, ormai di tempo ne era passato troppo e la situazione era cambiata. I militari, lontani per mesi e mesi dagli acquartieramenti e scomodamente appollaiati per settimane su camion, carri armati e semoventi, ignari (difetto di struttura) di cosa stessero facendo, per quanto trmpo avrebbero dovuto farlo e perché, stavano perdendo mordente.

La logistica “di aderenza” ha molto visibilmente fallito, rallentando eccessivamente qualcosa che, se non ci sono flessibilità, velocità e sorpresa, sarebbe assai più intelligente non intraprendere. Invece la sorpresa, ed anche qui è intervenuto il fattore tempo, è arrivata dalla parte opposta.

Se ai carristi russi era stato detto che sarebbero transitati per le vie delle città tra due ali di popolo che agita festoso bandierine russe per salutare i liberatori, ciò non è accaduto. Amaramente, hanno compreso che stava accadendo il contrario. Sono arrivati i pezzi controcarro e, dopo la prima barriera, c’era già pronta la seconda e, dietro alla seconda, invece delle bandierine i ragazzi avevano in mano le bombe molotov. Ma passeranno ugualmente perché un’armata corazzata ha certamente un’inezia newtoniana incredibile.

Ed ecco, di nuovo, il fattore tempo: quanto a lungo potrà continuare? Le Ambasciate ucraine in tutto il mondo hanno emanato bandi per arruolare nelle nuove Brigate Internazionali migliaia di volontari ex militari, che, in una corsa contro il tempo, stanno già affluendo in parallelo alle armi leggere, anticarro e contraerei inviate da Paesi amici.

L’Ucraina è grande: riuscirà la Russia, in queste condizioni e in questo clima, a mantenere un’occupazione permanente? Rischiano una gran brutta figura, e Putin non se lo può permettere. Perché i suoi capi militari, ed i tanti concittadini che, oppressi e ormai affamati, guardano con invidia verso Occidente, potrebbero decidere di non permettere all’”uomo solo” di portarli alla rovina.

Come stanno al momento le cose, nel tempo le sbarre della gabbia in cui Vladimir Putin si è cacciato (od è stato attirato) si stanno stringendo ed il numero delle opzioni si riduce ogni giorno che passa. Se continua così, cadrà da solo e come per Mladic e Milosevic, si avvicina il momento  dei Tribunali internazionali. Nessuno, nemmeno i russi, può oggi accettare che le due opzioni rimangano, in perversa alternativa, quella nucleare da parte sua od il tradimento del popolo ucraino da parte nostra.

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