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Credo che dopo la pandemia molti giovani torneranno al cinema per ammirare un film particolare, lasciando per un momento le serie-tv riposarsi su quella amaca tascabile che è il cellulare. E son convinto, inoltre, che nella storia del cinema per la prima volta questo film, un documentario, sarò goduto da milioni di spettatori di ogni generazione. Sto parlando di Ennio (2021), di Giuseppe Tornatore, un racconto di immagini, parole profonde e musica da film, una avvolgente, entusiasmante fantastica carrellata dentro il laboratorio fisico e mentale di Ennio Morricone (1928-2020).

Il piccolo Ennio, otto anni, foto bianco/nero, di profilo, mentre imbraccia e imbocca la tromba, ci ricorda quella del piccolo Rusty in Rin tin tin, di venti anni dopo. Qui era finzione. Lì studio vero. Il padre vuole che continui quella carriera che egli, prima o poi, dovrà interrompere. È l’unico lavoro con cui manda avanti la famiglia e “così farai tu, Ennio”.  Inizialmente il piccolo Ennio forse non vorrebbe, ma lo strumento lo affascina e poi, il ragazzo, mostra subito il suo carattere duttile. Docile, caparbio, pronto ad accettare le sfide, a riuscire nello studio.

Alle elementari è nella stessa classe di Sergio Leone. Mai avrebbero pensato di incontrarsi un giorno, per creare dei capolavori della storia del cinema. Il padre lo iscrive al Conservatorio di Santa Cecilia. L’amore per la musica cresce. Si diplomerà con Goffredo Petrassi, in tromba. Successivamente anche in composizione. Uscito dal Conservatorio suonerà nei locali per mandare avanti la famiglia. Pian piano si avvicina al mondo del teatro, della televisione e poi del cinema.

Il fascino di Ennio è quello di farti vedere e sentire i profumi del Novecento librandoti tra la musica popolare, le celebri colonne sonore e le sequenze di film indimenticabili. Suoni e immagini di cinema alternate dalle pacate e intime conversazioni-confessioni dell’uomo e artista Morricone. Una sorta di riservato diario agostiniano, costruito da Tornatore con tatto e gentilezza, ci guida, in punta di piedi, nel laboratorio privato del Maestro e nel cuore di un uomo generoso, facendoci, noi spettatori, fratelli di questo Leopardi della musica.

Eccoci accarezzati dagli arrangiamenti di Morricone di successi della musica leggera del boom economico: Pinne fucile e occhiali; Guarda come dondolo; Abbronzatissima (Edoardo Vianello); Sapore di mare (1963) di Gino Paoli; In ginocchio da te (Gianni Morandi); Se telefonando (Mina, 1963) “scritta mentre ero in fila per pagare la bolletta della luce”.

Nel frattempo Morricone si è avvicinato al cinema. In Fabiola, 1949, di Alessandro Blasetti pare suonasse il corno inglese (ma con una tromba in primo piano: è la sua?). Ecco dietro l’angolo il matrimonio artistico con il western di Sergio Leone: Per un pugno di dollari (1964). Western-spaghetti snobbati dalle riviste di cinema e dai quotidiani di stampo banalmente lukacsiano. Al contempo è richiesto anche dagli autori “impegnati”, Marco Bellocchio (I pugni in tasca, 1965) e Bernardo Bertolucci (Partner, 1968). Dopo il successo della “trilogia del dollaro” di Leone comincia ad essere conosciuto ma rischia di esser “incastrato” nel cinema di genere e popolare.

“A partire da Un cittadino al di sopra di ogni sospetto, cambiai punto di vista e un modo di attacco musicale diverso”. Seguono altre colonne divenute celebri, di diversi generi cinematografici, dalla commedia al dramma: quali Sacco e Vanzetti (con il famoso pezzo musicato per Joan Baez, Here’s to you, Nicola and Bart), Metti una sera a cena, Allonsanfàn, Bianco rosso e Verdone, C’era una volta in America, Nuovo Cinema Paradiso, The Untouchable, Mission, The Hateful Eight, per citare i più importanti.

Tornatore monta anche i pareri di musicisti (Nicola Piovani, Boris Porena, ecc.), registi (se stesso, i Taviani, Bertolucci, Tarantino, Montaldo, Bellocchio, Joffé, Malick – per lettera -, Leone, Cavani, Verdone, Stone), musicologi, produttori, creando una sorta di contrappunto dinamico, tra diario/sequenze/testimonianze, da leggere come un cifrato omaggio alla teoria del contrappunto nascosto presente nella estetica musicale di Morricone. A tal proposito il Maestro ci spiega la leggera alternanza dei suoni e stili introdotti in The Mission (1986) di Roland Joffè: “Decisi di alternare diversi stili: musica etnica/mottetto/oboe; oboe/mottetto/musica etnica; musica etnica/mottetto/oboe”.

Per gran parte della vita Ennio Morricone ha sofferto per non esser considerato un compositore “serio”, ossia da camera o da concerto, pur componendo di tanto in tanto musica assoluta, dovendo dedicarsi al cinema per il quale quale era richiestissimo. Riuscendo a comporre musica da film in tempi rapidissimi, spesso senza scrivere, avendo l’intera opera “in testa”, poteva soddisfare tutte le richieste. Naturalmente di quei film il cui copione lo aveva attratto. “I colleghi iniziarono a dire che non era possibile che quelle colonne le componessi tutte io. Che altri scrivessero per me. Dalla invidia si passa facilmente alla maldicenza”.

Nonostante i successi delle colonne sonore dei primi film di Leone, e poi di pellicole come Sacco e Vanzetti (1971, Giuliano Montaldo) e Novecento (1976, Giuseppe Bertolucci), per tutti gli anni Sessanta e Settanta, Morricone è considerato dai musicisti un compositore di serie B, un autore commerciale per il cinema. A partire dal successo di C’era una volta in America (1985), Mission (1987) e The Untouchables la critica cambia pian piano parere, comprende le innovazioni stilistico-musicali che egli mette in campo. Anche i compositori tradizionali mutano parere.

L’amico e collega compositore Boris Porena dichiara, “inizialmente, negli anni Sessanta, rimasi deluso che Ennio avesse lasciato la musica seria per il cinema. Solo dopo aver visto C’era una volta in America ho capito che la musica da film potesse raggiungere vette da musica di ricerca”. Gli scrive una bella lettera, manoscritta, di scuse e apprezzamenti, inquadrata da Tornatore, seppur rapidamente.

I riconoscimenti ufficiali si succederanno a decine negli ultimi trent’anni tramite candidature e due Oscar, premi al Golden Globe, al Bafta, al David di Donatello, ai Nastro d’argento. Oggi le dichiarazioni circa la sua indiscutibile arte sono a pioggia: Tornatore ne monta alcune a mitraglia. Ecco quelle che ci ricordiamo. Quentin Tarantino: “Tra cento anni considereranno Morricone come Mozart o Beethoven o Schubert”. Bernardo Bertolucci, figlio di buon poeta Attilio, chiosa senza appello: “Morricone ha fuso prosa e poesia”. I fratelli Taviani: “Capì subito il ritmo di Allonsanfàn e risolse con una musica danzante dal ritmo sconvolgente”. Verdone: “Perfetto il commento per Bianco e rosso e verdone”; Montaldo: “Un grande talento nascosto benissimo”.

La regia di Tornatore è fine e saettante nei tempi del montaggio, segnatamente quando passa da un esempio di ritmo declinato da Morricone stesso durante l’intervista, «ti ti ti/ta ta», al brano, ora creato, in esecuzione orchestrale o inserito come colonna sonora nel film. Sono autentiche lezioni di musica che allievi dei conservatori studieranno attentamente. Utili per gli studenti dei licei musicali le semplici e liriche analogie: “Le note –  dice il Maestro – sono i mattoni, e con i mattoni si costruiscono palazzi. Abbiamo tanti tipi di palazzi”.

Se Ennio ha potuto scrivere e studiare serenamente, coltivare il suo talento, crescere quattro splendidi figli, è anche grazie a sua moglie, Maria Travia, riservata musa, che nell’Oscar onorario (2007) ringrazierà, commosso, a Hollywood, davanti a un parterre di attori e attrici, autori di cinema. “Ogni musica che compongo la faccio ascoltare per prima a Maria. Il suo parere conta molto”.

Giuseppe Tornatore si congeda dal suo Ennio con l’artista in primissimo piano come a chiudere la quarta di copertina di questo incredibile e inatteso diario: “Sono davanti a un foglio, mi accingo a scrivere la musica. So che scriverò, ma non so come andrà”.

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“Ennio” (2021) di Giuseppe Tornatore è un lirico e asciutto omaggio alla storia filmica e musicale del Novecento attraverso colui che ha inventato la musica da film, Ennio Morricone. “Le note sono mattoni. Con i mattoni si fanno palazzi. Abbiamo tanti tipi di palazzi”. La recensione di Eusebio Ciccotti

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