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I motivi che facevano prevedere una recrudescenza della crisi in Ucraina, in congelatore e confinata nelle repubbliche indipendentiste del Donbass da poco più di un lustro, erano molti. Che Mosca non accettasse l’allargamento della Nato al “cortile di casa” l’aveva già dimostrato fin dal 2014 con la riacquisizione della Crimea, sede della sua flotta del Mar Nero indispensabile per operare nel Mediterraneo; e già si poteva immaginare che ci sarebbero potute essere conseguenze dopo la fine dell’operazione in Afghanistan.

La prospettiva Usa

Insomma, c’era da aspettarsi una specie di fallo di reazione da parte della nuova amministrazione statunitense scottata dall’immagine di debolezza emersa dal caos di Kabul e in cerca di riscatto. Per chi si vuol proporre come sacerdote della globalizzazione, sarebbe infatti inaccettabile una crepa alla propria immagine di potenza che tutto vede e prevede, che tutto controlla, che tutto corregge grazie a mezzi tecnologici onnipotenti.

Inoltre, se Putin ha dei problemi con l’opinione pubblica occidentale, a causa dell’affare Navalny abilmente sfruttato contro di lui, Joe Biden ha bisogno come il pane di ribaltare l’immagine di debolezza che gli viene ormai attribuita dalla sua stessa opinione pubblica, impietosamente spaccata tra una crescente maggioranza che ne biasima l’operato e una sempre più piccola minoranza disperatamente schierata a difesa della scelta operata con l’elezione sua e di Kamala Harris. In questa minoranza non svolgono un ruolo di secondo piano molti repubblicani di rango, come i Bush, nonché i vertici militari stessi che già ai tempi del confronto elettorale con Trump si schierarono per l’ex vice di Obama pur di sbarazzarsi del biondo Potus (President of the United States) in carica, che sembrava voler far abbandonare il ruolo di gendarme del mondo agli States.

I rifornimenti energetici europei

A queste ragioni che potremmo definire “psicologiche” si aggiunge il più prosaico tema dei rifornimenti energetici all’Europa, fortemente legata all’imponente flusso di gas che le arriva dalla Russia, mentre gli americani scalpitano per imporci il loro gas di scisto, ottenuto con la tecnica tutt’altro che environmentally friendly del fracking. La rete di gasdotti russi che ci porta a domicilio le risorse energetiche con le quali riusciamo a cucinare e a riscaldare le nostre case ha un prezzo, infatti, soprattutto in questi strani anni nei quali basta una Greta qualsiasi per mettere in crisi politiche energetiche frutto del lavoro di decenni, in nome di un rispetto dell’ambiente retorico e tutto da verificare; come se bastasse un po’ di sole e un po’ di vento per avere, a costo zero e senza inquinamento, uno stile di vita moderno e al tempo stesso rispettoso della natura.

Si tratta di un prezzo alto in termini economici, per il controflusso di denaro europeo diretto alla Russia per dare ossigeno alla sua asfittica economia, ma lo è anche in termini strategici, conferendo a Mosca un ruolo di interlocutore ineludibile per l’Europa che non può che preoccupare oltreoceano.

Le ragioni della contrapposizione

Un ruolo che Putin dimostra di saper sfruttare, facendo balenare senza menzionarla la possibile chiusura dei rubinetti che ci portano il suo gas attraverso l’Ucraina e lasciando che sia la Germania a difendere il North Stream 2, il raddoppio del gasdotto che dalla Russia già alimenta il centro Europa attraversando il Mar Baltico.

Ma non sono il dispetto per la figuraccia in Afghanistan, né la concorrenza tra i due Paesi per la fornitura del gas che arriva alle nostre case e che alimenta le nostre centrali le vere ragioni di questa contrapposizione. Sussiste, infatti, una ragione “esistenziale” per la quale gli Stati Uniti percepiscono la Russia come il loro più temibile competitor, anche se di volta in volta può sembrare cedere il passo ad altri – siano essi la Cina, la Germania, l’Isis o Assad – per questioni contingenti. E la ragione è rappresentata dalla natura europea e al tempo stesso asiatica, della Russia.

La natura “europea e asiatica” della Russia

Una natura che viene occultata sotto una retorica martellante ma insufficiente a negare che l’Europa da un punto di vista geografico altro non è che un’estensione verso ovest di un enorme continente asiatico del quale la Russia è anticamera al di qua degli Urali e padrona al tempo stesso al di là. E la prospettiva di una saldatura di questa immensa distesa di terra, nella quale convivessero le risorse culturali e scientifiche europee e le immense risorse materiali della Siberia fino alla costa del Pacifico, altro non fa che sollecitare i sospetti di chi da sempre teme blocchi continentali che (Brexit docet) sono percepiti come ostili per costruzione. Nonostante il recente ritiro delle truppe russe non c’è dubbio, in ogni caso, che le ragioni di una contrapposizione per la quale la Guerra Fredda non è mai finita non saranno venute meno.

Il ruolo dell’Italia

Quanto all’Italia, è già impegnata quasi senza accorgersene in una contrapposizione che non è nei suoi interessi immediati, quale base di partenza dei giganteschi droni Global Hawk che da giorni sorvolano in splendida solitudine i cieli off limits della ex repubblica sovietica. Speriamo che non ci venga chiesto altro. Abbiamo già dato con la Libia e non ne siamo usciti benissimo.

La psicologia di Putin secondo il generale Bertolini

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione del generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e della Folgore, sui motivi che hanno portato alla crisi in Ucraina, visti in rapporto alla prospettiva americana, alla situazione dei rifornimenti energetici in Europa e alla natura “europea e asiatica” della Russia

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