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Botta e risposta tra le due sponde del Pacifico. A tre giorni dal lancio dell’American AI Action Plan illustrato da Donald Trump, è il premier cinese a invocare un “urgente consenso” sull’intelligenza artificiale. Parlando alla World Artificial Intelligence (Waic) di Shanghai, un evento annuale di tre giorni organizzato dal governo, Li Qiang si sofferma sul rapporto costi-benefici delle ultime tecnologie: “I rischi e le sfide poste sono all’attenzione globale”, afferma citando come esempio la carenza dei chip e il blocco nello scambio di talenti. “Il modo in cui trovare un equilibrio tra sviluppo e sicurezza richiede con urgenza il consenso della società intera”. La strategia cinese intende promuovere “attivamente” lo sviluppo dell’IA open source, visti i successi di Deepseek e Kimi K2. “Se ci impegniamo in monopoli tecnologici, controlli e blocchi, l’intelligenza artificiale diventerà appannaggio di pochi paesi e poche imprese”, aggiunge Li Qiang. “Solo aderendo all’apertura, alla condivisione e all’equità nell’accesso, più paesi e gruppi possono trarne beneficio”. L’obiettivo di Pechino è dunque di istituire un’organizzazione mondiale sull’IA.

Pur senza far nomi, è evidente a chi si riferisse il premier cinese. Gli Stati Uniti hanno presentato un documento di oltre venti pagine in cui viene sottolineata la necessità di dare maggiore impulso all’industria tecnologia americana, deregolamentando il più possibile per non porre freni allo sviluppo. “L’America deve tornare a essere un Paese in cui gli innovatori vengono premiati con il via libera, non strangolati dalla burocrazia”, ha affermato il presidente americano spiegando l’AI Action Plan. Che si pone due obiettivi: “Battere la Cina e accelerare il progresso tecnologico negli Stati Uniti”.

L’idea cinese è all’opposto, sentendo il suo premier. Se Washington vuole meno regole, Pechino ne chiede di più. Per tutti. “La governance globale dell’IA è ancora frammentata. I Paesi presentano grandi differenze, soprattutto in ambiti come i concetti normativi e le regole istituzionali. Dovremmo rafforzare il coordinamento per creare al più presto un quadro di governance che goda di ampio consenso”. Il governo di Xi Jinping è già pronto: come riporta Reuters, il ministero degli Esteri ha pubblicato un piano d’azione chiedendo ai vari governi, organizzazioni, imprese e istituti di ricerca di aderire e collaborare.

Che Pechino cerchi sponde non è una novità. Le restrizioni all’export degli Stati Uniti sono state in qualche modo assorbite attraverso i propri talenti nazionali, ripiegando su altre tecnologie e racimolandole in giro per il mondo da quei paesi che hanno ignorato i diktat di Washington – o semplicemente hanno chiuso un occhio. Dimostrando così di saper reagire e di avere un settore tecnologico dal grande potenziale, sebbene i mezzi dei rivali siano superiori. Ma ovviamente i finanziamenti sono sempre ben accetti. Per questo il Waic è anche un evento rivolto agli investitori affinché scommettano sulla tecnologia cinese.

Tra gli invitati c’erano pochi americani, giusto qualche azienda, a conferma del momento di tensione. Alle scorse edizioni c’era anche Elon Musk, che in Cina ha investito molto, ma non stavolta. Tuttavia erano presenti diversi occidentali. Tra cui l’ex ceo di Google, Eric Schimdt, l’inviata speciale di Emmanuel Macron per l’IA, Anne Bouverot, anche lei convinta di quanto un’azione globale sia diventata una “urgenze necessità”, e il premio Nobel per la fisica e padrino dell’IA Geoffrey Hinton. Intervenendo all’evento, utilizza una metafora tutt’altro che banale per spiegare il modo in cui ci stiamo rapportando con l’intelligenza artificiale è come quello di “una persona che adotterebbe un adorabile cucciolo di tigre come animale domestico. Per sopravvivere, bisogna assicurarsi di poterlo addestrare a non ucciderci quando diventerà adulto”.

Serve un'organizzazione mondiale sull'IA. La proposta della Cina dal Summit di Shanghai

A pochi giorni dall’America AI Action Plan, il premier cinese Li Qiang sottolinea i rischi legati all’intelligenza artificiale e critica l’approccio degli Stati Uniti (pur senza nominarli). Al contrario, Pechino chiede “apertura, condivisione e equità nell’accesso” affinché i benefici siano diffusi

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