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Nei giorni scorsi, come una fiammata, in Parlamento si è accesa una discussione sulle nostre Forze armate. Forse è stata la paura dell’evolversi della situazione internazionale ad aver stimolato il Parlamento a interrogarsi sulla Difesa in modo assolutamente inusuale rispetto al passato.

Il recente e frettoloso Ordine del giorno parlamentare, che impegna il governo a investire più risorse nella Difesa, è solo apparentemente un passo importante verso una maggiore consapevolezza che le nostre democrazie, e le nostre libertà, chiedono strumenti concreti per la loro difesa.

Un “costo”, giustappunto, che gli italiani devono comprendere e che le istituzioni politiche devono correttamente spiegare e motivare.

La decisione parlamentare, invece, si caratterizza per un intervento che appare estemporaneo, emozionale, una fiammata appunto, e non collegato a una corretta e approfondita riflessione sul tema, che possa condurre a precisi indirizzi politici per il Governo su come far evolvere le nostre Forze armate e su dove indirizzare i nostri sforzi.

Ed è proprio questo modo di procedere che lascia perplessi, fino a dare l’impressione della poca serietà.

Senza un’idea precisa di lungo termine su come far evolvere lo strumento militare, i suoi compiti e le sue capacità e senza precisi indirizzi verso una sua riforma nei settori della governance, del personale e dell’operatività, si corre il rischio che queste risorse, semmai arriveranno, siano disperse o servano solo a finanziare programmi industriali di corto respiro, se non obsoleti o doppioni, magari meno prioritari, o a perpetrare un sistema di arruolamento e avanzamento del personale ormai vecchio e poco efficace.

Quello che servirebbe, invece, è una azione di maturità, un’assunzione di responsabilità politica del Parlamento in merito alla sicurezza e alla Difesa che porti all’elaborazione di una precisa strategia di sicurezza nazionale, da cui far discendere direttive politiche a livello di ministero che indirizzino le attività di competenza delle varie amministrazioni.

Lo sviluppo di questa strategia potrebbe essere assegnato al governo su mandato del Parlamento, che si riserverebbe la valutazione finale e la sua adozione. Magari, come fu fatto con il Libro bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa, coinvolgendo università e alcuni centri studi riconosciuti qualificati.

Con il fine della salvaguardia degli interessi vitali nazionali, ecco che accanto una strategia energetica o industriale, diplomatica o di Intelligence, troverebbe spazio una equivalente strategia per la Difesa, con chiari obiettivi, modalità per svilupparla e, solo alla fine, gli strumenti necessari per attuarla e i relativi corretti investimenti decisi dalle reali esigenze.

Solo in questo modo sarà possibile dare visione d’insieme e coerenza logica agli investimenti fatti o che si intendono fare per la tutela della sicurezza nazionale. Solo con questa assunzione di responsabilità e azione di alta politica sarà possibile dare al Paese gli strumenti più corretti per salvaguardare la sua libertà e la tutela dei precipui interessi nazionali.

Ecco perché l’Ordine del giorno, per le modalità seguite e per il merito, rischia di non servire a nulla se non ad alimentare stupide polemiche.

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