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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto poco fa che la crisi umanitaria a Gaza finirà se Hamas rilascia gli ostaggi e si arrende. Il commento del presidente segna un cambiamento di tono rispetto ad altri che ha fatto negli ultimi giorni che hanno messo l’onere su Israele per migliorare la crisi umanitaria a Gaza. “Il modo più veloce per porre fine alle crisi umanitarie a Gaza è che Hamas si arrende e rilasci gli ostaggi!!!”, ha scritto Trump sul suo account Truth Social.

Parole che arrivano mentre Steve Witkoff, emissario dell’amministrazione americana in charge sui principali dossier negoziale, è in Israele per affrontare il tema della drammatica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.

Si tratta della prima visita di Witkoff in Israele dopo un’assenza di quasi tre mesi. Il viaggio avviene in un momento di totale stallo nei negoziati su cessate il fuoco e ostaggi, mentre le condizioni a Gaza restano critiche. Non è escluso, secondo fonti americane, che Witkoff possa anche entrare nella Striscia e visitare i centri di assistenza della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf).

Nei giorni scorsi, Witkoff ha avuto incontri a Miami e a Washington con due dei principali consiglieri del premier israeliano Benjamin Netanyahu: Ron Dermer e Tzachi Hanegbi, in presenza del segretario di Stato, Marco Rubio.

“Il presidente vuole avere un quadro più chiaro della situazione sul terreno, per capire come rafforzare l’assistenza ai civili palestinesi”, ha spiegato un funzionario americano ad Axios, che raccoglie anche fonti israeliane secondo cui nella serata di martedì è stato trasmesso ad Hamas — tramite i mediatori del Qatar e dell’Egitto — un documento con osservazioni alla risposta ricevuta la settimana scorsa sul più recente schema di accordo.

Israele, tuttavia, non si mostra fiducioso su sviluppi imminenti. E in caso di persistente impasse, Stati Uniti e Israele stanno valutando possibili “piani alternativi”. Tra le opzioni discusse a livello di gabinetto, vi sarebbero un’intensificazione delle operazioni militari e persino l’annessione parziale del territorio di Gaza, come forma di pressione su Hamas per la liberazione degli ostaggi.

La pressione che l’amministrazione Trump sta esercitando su Israele – seppure con retorica a corrente alternata – ricorda da vicino quella che spinse Joe Biden lo scorso anno a intensificare gli sforzi per sbloccare l’impegno umanitario nella Striscia. In entrambi i casi, il motore è soprattutto interno: una parte consistente della base elettorale più giovane guarda con crescente scetticismo al sostegno incondizionato a Israele, sia tra i nuovi democratici che tra i nuovi repubblicani. Nonostante Trump continui a definirsi il presidente più filo-israeliano della storia americana, il dissenso all’interno del movimento MAGA è palpabile e spesso reso pubblico da profili ben riconoscibili e molto seguiti.

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