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Con Claudio Petruccioli, ottanta primavere, una vita di servizio pubblico passata tra viale Mazzini, Madama e Montecitorio, facciamo subito un patto d’onore. “A due giorni dal voto per il Quirinale niente totonomi. E se dico cose scontate, mi fermi”.

E va bene, promesso. Ma che si può dire che non è stato già detto?

Iniziamo da una premessa di metodo: sui giornali impazzano i retroscena, noi parliamo di quello che sta davanti, sotto gli occhi di tutti.

Sarebbe?

C’è un motivo se questa elezione non ha precedenti. Non è possibile scindere i destini del Colle dai destini del governo. Perché in mezzo c’è Mario Draghi, perché tanti grandi elettori sono terrorizzati dal ritorno anticipato alle urne.

Fin qui nulla di nuovo.

Aspetti, ci arriviamo. Questo governo è un prodotto del Quirinale. Un anno fa è nato non su impulso, ma su decisione di Sergio Mattarella. E già qui c’è il senso della sua eccezionalità.

Perché?

L’Italia è una Repubblica parlamentare. Ma è anche, diceva il grande Pietro Scoppola, “la Repubblica dei partiti”. Oggi questa centralità della politica è messa in discussione. Siamo di fronte a un passaggio epocale.

Caminetti, riunioni, manovre e trattative. Petruccioli, sembra che la politica sia viva e vegeta.

Sì, ma l’obiettivo non è quel che sembra. I partiti, ormai ridotti a ectoplasmi, non cercano tanto un presidente che rappresenti l’unità nazionale. Sanno che devono scegliere una figura senza la quale né il Parlamento, né i partiti sono più in grado di funzionare. Un garante che garantisca il funzionamento del sistema e soprattutto un reggente in grado di tenerlo in piedi.

E chi può farlo? Draghi? Mattarella?

Mattarella, quando è stato eletto nel 2015, si definì “arbitro”. L’arbitro è per definizione un garante, perché fa rispettare le regole del gioco. In questa elezione ci spostiamo su un altro piano. Come gli scalatori in montagna, i partiti vogliono un chiodo che li regga e impedisca alla cordata di sprofondare.

Per quanto tempo?

Sette anni. Non sarà una reggenza pro-tempore, chi sarà eletto dovrà avere la forza di resistere agli scossoni del sistema politico che si fanno sempre più frequenti e impegnativi.

La politica che si commissaria da sola. È una scelta consapevole?

Io credo di sì: è una presa d’atto di una inadeguatezza. La stessa candidatura di Silvio Berlusconi è un segno distintivo di questo processo.

Non è la prima volta che una presidenza della Repubblica assume un peso centrale nel sistema politico.

So a cosa sta pensando. La teoria della “fisarmonica”, una brillante intuizione di Giuliano Amato: i poteri presidenziali, a seconda delle necessità, possono allargarsi e restringersi. Ma è una metafora fin troppo consolatoria per la situazione in cui versiamo.

Il reggente di turno sarà Draghi?

Come ho detto, mi sottraggo al totonomi. Se l’operazione reggente avrà successo, i partiti e il Parlamento accentueranno la loro minorità. Se non avrà successo, confermeranno la loro inadeguatezza. È questo il paradosso in cui sono stretti. Il sistema politico ha bisogno di un reggente forte, ma non so se i partiti avranno la forza per sceglierlo o mandarlo al Quirinale.

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