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La decisione tedesca di adeguarsi alle indicazioni Nato del 2% annuo del Pil dedicato alla difesa rappresenta una presa di consapevolezza dei Paesi europei dell’esigenza inderogabile di adeguare le spese militari al preoccupante clima politico. L’Italia sembra avviarsi in quella direzione ma sarà necessario un deciso cambio di passo, sfruttando anche la maggiore flessibilità dei vincoli del patto di stabilità. L’analisi per Airpress del generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa.

Generale, Berlino afferma di voler innalzare il proprio budget assegnato alla Difesa oltre la soglia del 2% del Pil. Che lettura dà a questa decisione storica, visto il tradizionale approccio tedesco al tema?

Si tratta a mio avviso di una presa di coscienza da parte della dirigenza politica tedesca che il mondo non è solo un grande mercato dove l’eccellenza dei prodotti realizzati in Germania ne crea e sostiene lo standing strategico, ma che la dimensione militare è ancora, o se preferite è tornata, a essere una componente essenziale. Dopo la fine della Guerra fredda, l’apparato militare tedesco ha subìto un serio appannamento e non solo per motivi di bilancio, ma anche per oggettive questioni organizzative, con livelli di efficienza dei mezzi ridicolmente bassi e con un’immagine nel Paese che non favoriva certo un reclutamento di qualità. Occorrerà pertanto operare non solo dal lato finanziario, ma anche e soprattutto per ridare un’immagine adeguata nei confronti dell’opinione pubblica interna.

Il tema del 2% è centrale in ambito Nato, già richiesto nel lontano 2014. Di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, come cambiano le priorità, anche di budget, per tutti i Paesi membri dell’Alleanza ancora lontani da una spesa che si avvicina al 2% del Pil?

Le priorità sono già sufficientemente delineate e verranno puntualmente chiarite dal nuovo Concetto strategico in corso di elaborazione finale. Accanto al potenziamento delle capacità classiche, che come stiamo vedendo in questi giorni, non sono un ricordo del passato, ma mantengono intatta la loro validità, occorre sviluppare i nuovi domini, dello spazio e dell’ambiente cyber, che richiedono investimenti ingenti sia per lo sviluppo e l’approvvigionamento che per l’esercizio, da mantenere sempre e progressivamente aggiornati. I Paesi stanno rapidamente acquisendo la consapevolezza dell’esigenza inderogabile di adeguare le spese militari al preoccupante clima politico. Anche da noi, le recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio vanno in quella direzione, così come la prontezza con cui il Parlamento ha recepito e approvato le proposte dei programmi di ammodernamento predisposti dalla Difesa.

Il nuovo governo tedesco ha superato anche le resistenze interne allo stesso esecutivo, dimostrando il coraggio di puntare sul 2%. La scelta tedesca potrebbe funzionare da traino per l’Italia, bloccata all’1,3% circa?

Come già accennato, anche l’Italia, pur con tutte le cautele dovute al peculiare quadro politico, sembra avviarsi in quella direzione e indubbiamente il nostro Paese non può permettersi di “singolarizzarsi”, soprattutto se vuole avere un ruolo determinante non solo nel quadro definito dell’Alleanza Atlantica, ma in quello tutto da costruire dell’identità europea della difesa. È chiaro a tutti che lo sforzo non è da poco e che comporterà anche un forte cambio di passo da parte della Difesa, che deve elaborare piani adeguati non solo sul piano degli investimenti, ma anche e forse soprattutto dal lato del personale. Su quest’ultimo piano, esistono seri problemi dovuti all’innalzamento dell’età media a causa delle norme esistenti e di una scarsa flessibilità del nostro mercato del lavoro interno che, a differenza di quanto accade in altri Paesi, non presenta quella permeabilità tra mondo militare e mondo civile che permetterebbe meccanismi di reclutamento più agili ed efficaci.

Se l’Italia decidesse di seguire la linea tedesca, che strumenti dovrebbe adottare per implementare queste spese in più? Dovrebbero essere tenute fuori dal patto di stabilità?

Il tema dei parametri finanziari è oggetto di discussioni e trattative. Inizialmente considerati intoccabili, all’inizio del secolo le prime eccezioni vennero fatte a favore di Germania e Francia. La crisi finanziaria del 2008-2011 ha ulteriormente intaccato queste certezze e con la pandemia si è deciso di sospenderli temporaneamente per consentire a tutti i governi di prendere i necessari provvedimenti senza una spada di Damocle sulla testa. In queste ore si sta facendo strada il concetto che si dovrebbe fare un’eccezione per consentire agli Stati membri di finanziare i ristori per le aree che verrebbero danneggiate dall’applicazione delle sanzioni nei confronti della Russia per l’attacco all’Ucraina. Come si vede il concetto di flessibilità si sta allargando e sono convinto che a breve i parametri, da rigidi quali erano considerati, diventeranno delle indicazioni di massima, utili a definire i tassi interni e a regolare rapporti finanziari, ma tali da consentire la necessaria flessibilità ai governi, anche per le spese per la difesa.

Sulla Difesa, l’Italia segua Berlino. L’appello del generale Camporini

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