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Inizialmente concepito nel 2013, il progetto dell’oleodotto che collegherà l’output petrolifero di Bassora, città irachena sul Golfo Persico, al porto giordano di Aqaba sul Mar Rosso è diventato operativo. Il governo iracheno ha annunciato il piano di costruzione, che era stato bloccato dalla cavalcata dello Stato islamico – che dagli anni tra il 2014 e il 2017 ha avuto il controllo di ampie fette di territorio iracheno e, sebbene non sia sceso mai fino al sud del Paese, ha rappresentato una minaccia che ha fermato diversi processi di sviluppo.

La pipeline è anche uno dei simboli fisici di come il Medio Oriente si stia spostando verso una stabilizzazione ampia, frutto di un equilibrio endogeno in delicata costruzione. Dietro al progetto c’è un investimento saudita, che da tempo sta usando la via irachena come moltiplicatore di forza regionale in quanto Baghdad fa da tramite per conto di Riad con Teheran. Sull’oleodotto c’è già un rumor: Baghdad potrebbe concedere l’accesso al petrolio iraniano, che a quel punto potrebbe essere venduto come iracheno — permettendo a Teheran di aggirare le spedizioni via mare. Di questo Riad è consapevole, e lo accetterebbe come forma di distensione delle relazioni.

L’oleodotto esclude le rotte che doppiano Hormuz: lo stretto è uno dei colli di bottiglia più critici al mondo. Diversi gli episodi delicati avvenuti recentemente, sabotaggi passati da “incidenti”, ma anche l’abbattimento di un grande drone statunitense Global Hawk da parte della contraerea iraniana. Le rotte del petrolio hanno rappresentato le tensioni nel Golfo, adesso sembrano passare anche da lì forme di distensione. Tanto più se si considera che un oleodotto è una struttura fisica, un legame tangibile che si porta dietro maggiori connessioni geopolitiche.

Il progetto per ora arriverà fino alla Giordania, ma c’è un piano per farlo allungare fino all’Egitto e dunque farlo entrare nel sistema di transito energetico che si snoda tra le acque del Cairo e sul Mediterraneo orientale. Dove si intrecciano interessi europei, ma anche statunitensi (orientati a mantenere in equilibrio la regione), russi e cinesi. Pechino in particolare segue con grande attenzione queste dinamiche dell’area perché è da lì che riceve gas e petrolio per placare la sete energetica del Paese. È evidente come tallonare la traiettoria dell’oleodotto serva al Partito/Stato per tenere contatto con un lineamento geostrategico che va dall’Iran fino (potenzialmente) all’Egitto, che coinvolge attori cruciali come l’Arabia Saudita e passa tangente a Israele (Eilat dista pochi chilometri da Aqaba).

Il nuovo Medio Oriente visto attraverso l’oleodotto tra Golfo e Mar Rosso

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