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Nello stallo europeo tra Russia e Stati Uniti il fattore tempo fa la differenza. Era l’11 novembre quando i satelliti commerciali fotografavano a Yelna il primo dispiegamento di truppe russe a 260 chilometri dal confine ucraino. Due mesi dopo quasi centomila soldati in tenuta da combattimento sono ancora schierati lungo la frontiera. E non c’è l’ombra di un accordo tra Mosca e Washington per ridefinire il quadro della sicurezza europea.

Per Ian Lesser, vicepresidente del German Marshall Fund, il nulla di fatto che ha segnato i colloqui bilaterali fra governo russo e americano a Ginevra questo lunedì suona un campanello d’allarme per Vladimir Putin. Se nei piani dello “zar” c’era un’operazione lampo, i piani sono da rivedere. “Il tempo non gioca a favore del Cremlino – spiega l’esperto a Formiche.net – la finestra per fare la prossima mossa in Ucraina si sta restringendo: la Russia non avrà un’altra occasione di mettere sotto stress in questo modo la Nato, almeno nel breve periodo”.

Qualcosa è andato storto nella road map russa. Prima la deterrenza, boots on the ground. Poi il negoziato e le concessioni. Su quest’ultimo fronte i progressi sono pochi, se non nulli. A Ginevra la sottosegretaria di Stato americana Wendy Sherman lo ha ribadito: gli Stati Uniti e la Nato non firmeranno cambiali in bianco. Ovvero non prometteranno – come Mosca ha ufficialmente chiesto in una lettera inviata al quartier generale a Bruxelles – di abbandonare l’Ucraina al suo destino. Come durante l’incontro tra Biden e Putin a giugno, nella neutrale Svizzera ancora una volta le linee rosse tra Russia e Stati Uniti non si muovono di un centimetro.

Ma lo stallo ha un prezzo più alto per i russi, dice Lesser, perché il prime mover Putin non è ancora andato all’incasso. “C’è un dato positivo: nessuno ha ancora abbandonato il tavolo, e in più la Russia ha negato di voler invadere l’Ucraina. Sullo sfondo i problemi rimangono. Un compromesso si può raggiungere sul controllo degli armamenti, le esercitazioni militari, un meccanismo stabile di confronto”.

Compromesso a ribasso per Mosca, che si è trovata a gestire contemporaneamente la crisi in Kazakistan. “Finanziariamente la Russia è in una posizione solida, a livello internazionale arranca. Deve fare i conti con una crescente instabilità politica ai confini, dal Kazakistan al Caucaso, ed è impegnata su più fronti allo stesso tempo, Siria, Libia, Mali: può trarne vantaggio, ma anche uscirne indebolita”.

A questo punto, riprende, la posta in palio più ambita dal Cremlino ha un nome e un cognome: Nord Stream 2. Il maxi-gasdotto di Gazprom che unisce la Germania al Mar Baltico è al centro di un braccio di ferro della politica americana. “Credo che questa amministrazione voglia evitare una crisi con la Germania, dà molto peso alle relazioni europee e all’Ue, il Nord Stream è parte di questa equazione”. In ballo c’è un pacchetto di sanzioni presentate al Senato che potrebbe chiudere i rubinetti russi, con conseguenze imprevedibili. Dice Lesser: “Gli Stati Uniti amano le sanzioni, ma le sanzioni non sempre funzionano. Gli alleati europei hanno paura di una rappresaglia russa nel bel mezzo di una crisi energetica, scoppiata in pieno inverno”.

Biden “si consulterà con loro”, ma con buona pace degli aspiranti pontieri l’interlocuzione continuerà sul piano bilaterale: “Non dovrebbe sorprenderci, questa Casa Bianca cerca un canale diretto con la Russia”. L’Europa rimane attore secondario. “L’Ue sarà presente in alcuni tavoli, penso al Consiglio Nato-Russia, ma non è al centro dei negoziati. C’è una tara negativa tra le sue aspirazioni e la realtà”.

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