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L’atteso discorso di Vladimir Putin non ha certo tranquillizzato i mercati che da qualche tempo sono in agitazione. Diamo un’occhiata a quello più vasto, e più importante, ossia a quello degli Stati Uniti.

Mercoledì scorso l’indice Standard & Poor 500 ha segnato un incremento del 3%, in parte a ragione della proposta di compromesso formulata da Volodymyr Zelenskij per aprire trattative ed in parte perché non era terminata la seduta del Comitato per le Operazioni sul Mercato Aperto della Federal Reserve e si annusava aria un aumento solo di un quarto di punto percentuale dell’interbancario.

Giovedì un vero e proprio crollo: il Nasdaq ha perso ben il 5%, sia per la mancata risposta della Russia alla proposta di compromesso formulata dall’Ucraina sia perché il tasso d’interesse principale è stato aumentato di mezzo punto percentuale sia perché è stato varato ufficialmente il Quantitative Tightening.

Venerdì, la situazione è parsa leggermente migliore: lo Standard & Poor 500 ha perso solo lo 0,6% ed il Nasdaq appena l.5%, ma era la quinta settimana consecutiva di ribasso dello Standard & Poor 500.

Lunedì ribassi sin dall’apertura non solo negli Stati Uniti in attesa di un discorso di Putin che sul fronte geopolitico non prometteva nulla di buono (come, in effetti, è stato) ma anche nelle maggiori Borse europee.

Come “arrangiarsi” in un mercato così volatile dopo circa dieci anni in cui ci si è abituati ad una marea tranquilla che, a ragione dell’iniezione di liquidità da parte sia delle autorità monetarie sia delle politiche di bilancio (in una prima fase per uscire dalle crisi del 2008-2009 e del 2011-12 e una seconda per sostenere l’economia ai tempi più bui del Covid), ha agevolato un’ascesa tranquilla sia di una larga fascia dell’azionario sia dell’obbligazionario. Ora questa duratura “ricreazione” è finita ed occorrerà abituarsi a navigare in una turbolenza quale quella che non si vedeva dall’inizio di questo secolo (quando nel giro di poche settimane la net economy e le dot.com presero una batosta).

Le vicende della guerra in Ucraina non sono forse la determinante principale dell’andamento dei mercati, specialmente di quello degli Stati Uniti. Lo è una «svolta monetaria» tale che pochi si aspettavano. È chiaro che a Constitution Ave, N.W., dove ha sede la Federal Reserve, è cambiato l’orientamento a proposito dell’inflazione: dopo qualche mese in cui si riteneva che si trattasse di un fenomeno “temporaneo” dovuto in gran misura alle disfunzioni della catena dell’offerta da attribuire alla pandemia, ora si teme di essere alle prese con aumenti dei prezzi simili a quelli che hanno caratterizzato la seconda metà degli Anni Settanta del secolo scorso.

Si teme anche che tali aumenti siano entrati nelle aspettative delle imprese e dei lavoratori (anche perché negli Usa il tasso di disoccupazione è bassissimo – sfiora il 3,5% della forza lavoro) e quindi ci siano le determinanti di un’inflazione di lunga durata. La guerra aggrava il quadro: spese (in parte in deficit) per supportare l’Ucraina, aumento dei corsi delle materie prime, scarsità di cereali (che poco effetto hanno sugli Usa ma molto su Europa e moltissimo sui Paesi in via di sviluppo). Una guerra prolungata allunga un’inflazione che non si prospetta breve.

Credo si debba dare per scontato che la politica monetaria americana restrittiva durerà per tutto il mandato di Joe Biden alla Casa Bianca e che la Banca centrale europea (Bce) finirà ad accodarsi per seguire una strada analoga. A livello di finanza pubblica ciò non potrà non provocare problemi per un Paese con fortissimo debito della Pubblica amministrazione come l’Italia: lo spread, che sembrava un ricordo del passato, ha di nuovo l’onore e l’onere delle prime pagine dei giornali. Naturalmente, ove finisse l’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, ci sarebbe alcune settimane di euforia sui mercati, ma non saranno molte se gli Usa continuano a somministrare una medicina anti-inflazionistica così energica.

Indubbiamente, la volatilità morde gli investitori, ma non a tutti nello stesso modo. Alcuni, anzi, si “arrangiano” così bene che ci si arricchiscono. Nell’azionario, è utile puntare gli occhi sull’”industrial military complex”, sul farmaceutico e soprattutto sulle aziende che coniugano nuove tecnologie (ad esempio, intelligenza artificiale) con sistemi di prevenzione (come le indagini precoci). Nell’obbligazionario, vale la pena guardare con attenzione ai “corporate bonds” di grandi aziende che hanno i presupposti per una crescita solida, ma studiandole con cura.

L'arte di arrangiarsi in un mercato volatile. Scrive Pennisi

È necessario abituarsi a navigare in una turbolenza quale quella che non si vedeva dall’inizio di questo secolo (quando nel giro di poche settimane la net economy e le dot.com presero una batosta). Forse la politica monetaria americana restrittiva durerà per tutto il mandato di Joe Biden alla Casa Bianca e la Banca centrale europea finirà a seguire una strada analoga

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