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Tra una manciata di ore Mario Draghi rientrerà dall’America. E si ritroverà di fronte alla contraddizione più stridente: guidare un esecutivo sempre più figlio di nessuno con i partiti delle larghe e liquefatte intese che giocano a chi si distingue di più, e un’Italia che sceglie la marcia del gambero tornando all’inizio del 2021: cioè un Paese senza maggioranza.

Dopo aver discusso con autorevolezza con il presidente degli Stati Uniti, avergli portato il messaggio a nome dell’Europa di intensificare gli sforzi per la pace e costringere Putin a sedersi al tavolo del negoziato, il presidente del Consiglio andrà in Parlamento per un question time tutt’altro che di routine e dove M5S e Lega lo attendono al varco per specificargli che nuove armi all’Ucraina, no grazie.

Non che SuperMario si faccia intimorire o ceda il passo: ormai la cortina di ferro già in atto è tra lui e alcuni leader della coalizione e non sembra ci siano le condizioni per smantellarla. Il che tuttavia non significa – o almeno non dovrebbe – che il capo dello governo stia preparando le valigie e prepararsi a lasciare Palazzo Chigi. Magari in cuor suo lo vorrebbe, ma per ovvi motivi l’esecutivo continuerà la sua corsa fino alla scadenza naturale della legislatura, salvo che lo farà con un andamento sempre più lento e in condizioni politiche sempre più sfilacciate.

Nessuna sorpresa, almeno per chi legge queste note. Draghi era stato chiamato da Sergio Mattarella per fuoriuscire da una condizione di impasse governativa dopo i fallimenti gialloverdi e giallorossi. Con l’emergenza vaccinale in pieno svolgimento e la necessità di rassicurare i partner europei che i fondi del Next generation Eu erano in buone mani. In più sullo sfondo si stagliava la corsa per il Quirinale, con Draghi candidato naturale alla successione dell’inquilino dell’epoca; una sorta di staffetta sottaciuta ma non evanescente. Oggi le condizioni sono completamente mutate e chi avvertiva che se l’ex presidente Bce non fosse salito sul Colle ne sarebbe risultato indebolito con una campagna elettorale che al contrario si sarebbe rafforzata, aveva visto lungo.

Ma non è il destino personale di Draghi che interessa (“Un lavoro so trovarmelo da solo”, è il suo refrain) quanto le condizioni di stabilità e di equilibrio del sistema-Italia per le prossime, delicatissime, sfide che si delineano all’orizzonte. Un governo di stampo emergenziale che diventa di nessuno, con Lega e 5 Stelle che vogliono riprendersi libertà di manovra a fini elettoralistici; FI ancorata all’eterna attesa che Berlusconi indichi la linea salvo poi modificarla in più riprese in corso d’opera e con l’ombra di Putin che si staglia affiancando quella del Cav; con Italia Viva che punta sulla giustizia e sul resto solfeggia; con il Pd che lamenta di essere l’unico a sostenere davvero il premier mentre cresce l’incubo-Monti, cioè un pieno di responsabilità e una scarsezza finale di consensi, è complicato immaginare possa produrre risultarti efficaci sul Pnrr e districarsi nelle sabbie mobili di un confitto che ha riportato in Europa dopo settant’anni la lugubre cantilena di guerra e morte.

E ancor più fosco è il panorama che si delinea per i prossimi mesi. La legislatura è nata sull’onda del successo travolgente dell’accoppiata demagogia-populismo; miscela nefasta che ha portato la governabilità imperniata sul MoVimento in un vicolo cieco. Alla fine quel che si intravede è un Paese (e un Palazzo) fatto solo di minoranze, l’una contro l’altra armate, pronte a intese venate di superficialità ed ipocrisia alle soglie dell’avventurismo politico, cangianti a seconda degli interessi del momento. Invece serve il contrario. Serve una maggioranza coesa attorno ad un’idea dell’Italia approfondita e condivisa; con persone dotate di competenza e lungimiranza capaci di accollarsi la responsabilità di guidare 60 milioni di cittadini fuori dalle secche della recessione che si avvicina e della mancata crescita che deprime e svuota le energie che pure ci sono.

Nessuno dei due schieramenti di centrodestra e centrosinistra appare adeguato al compito. Sono aggregazioni profondamente lacerate al loro interno; nel migliore dei casi cartelli elettorali che possono prevalere nelle urne per poi, a stretto giro, sfaldarsi. Qualcuno sogna il meccanismo proporzionale come panacea, e quasi certamente si illude. Un governo figlio di nessuno e un Paese di sole minoranze. La ricetta giusta per il disastro, direbbero le Cassandre. Speriamo si sbaglino.

Draghi negli Usa, ma ad attenderlo c'è una cortina di ferro

Ormai la cortina di ferro già in atto è tra il presidente del Consiglio e alcuni leader della coalizione e non sembra ci siano le condizioni per smantellarla. Il che tuttavia non significa, o almeno non dovrebbe, che il capo dello governo stia preparando le valigie e prepararsi a lasciare Palazzo Chigi. Il mosaico di Fusi

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