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Di fronte alla Guerra russa in Ucraina viene da chiedersi se la natura stessa della diplomazia stia cambiando. Contro Vladimir Putin si sono riversati fiumi di parole di condanna. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha condannato l’invasione russa di fronte al Parlamento italiano e ai parlamenti di tanti altri Stati. Dure sanzioni sono state adottate contro Mosca, misure ancora più dure sono richieste in queste ore. Il presidente americano Joe Biden ha accusato Putin di aver commesso crimini di guerra in Ucraina, nel mondo prosegue il boicottaggio della Russia, perfino nelle competizioni sportive.

Ciò non significa che Putin sia rimasto a corto di sostenitori in Occidente, o che l’invasione russa susciti una condanna universale. Il presidente russo, ad esempio, può contare su un ampio supporto tra i Repubblicani americani, in particolare nella cerchia di Donald Trump. In Europa tra i sostenitori di Marine Le Pen, in Italia tra gli elettori di Matteo Salvini e di una parte della destra piuttosto incline a trovare scuse per i suoi crimini. Cioè più o meno quell’area politica che non si riconosce nell’asse Draghi-Mattarella a Palazzo Chigi e al Quirinale.

Nemmeno le prove fotografiche delle atrocità russe sembrano convincere tutti. A dispetto di queste istantanee, Putin, la Russia e la cultura russa continuano a suscitare un certo fascino. Una realtà che trova ampia corrispondenza nella politica italiana. Non solo a destra – Salvini ha in anni recenti definito Putin uno dei grandi leader del ventunesimo secolo, un onore credo mai deputato a un altro leader del Kgb – ma anche tra le fila del Movimento Cinque Stelle, che continua a rimanere nell’angolo russo.

L’ambiguità non potrà durare a lungo. La guerra in Ucraina costringe infatti l’intero arco politico, da destra a sinistra, in America come in Europa, a uscire allo scoperto. Inevitabile per la posta in gioco. In palio c’è il destino della Nato e dell’intera alleanza atlantica. In palio c’è la leadership globale degli Stati Uniti a lungo esercitata prima del ciclone Trump.

Partiamo dalla prima. Da tempo si è riaperto il dibattito, da una sponda e l’altra dell’Atlantico, sull’utilità stessa della Nato. Ora questo dibattito è giunto a un incrocio: l’alleanza del Nord Atlantico compie ancora la missione diplomatica e militare per cui è nata? Una risposta può arrivare dal fronte della risposta occidentale all’aggressione russa. In queste settimane cresce il pressing per chiedere sanzioni più dure contro Mosca e un supporto illimitato, per quantità e qualità di armi, alla resistenza ucraina.

Nel frattempo Putin ha tagliato le forniture di gas alla Polonia, mostrando cosa succede quando un Paese non si allinea alle direttive del Cremlino. E il mondo si chiede fin dove voglia arrivare, con il legittimo dubbio che l’Ucraina sia solo l’inizio.

A questa domanda si può rispondere chiedendoci quale diplomazia debba entrare in campo in questa crisi. La diplomazia vecchie maniere come è noto è fatta di tante parole e poche azioni. Quando queste ultime hanno la meglio, dittatori, folli e fanatici come Putin godono di un netto vantaggio. Questo è il caso della guerra in Ucraina.

Putin, o chi per lui, può permettersi di minacciare l’uso di armi nucleari tattiche lasciando il boccino in mano all’Occidente, sospeso di fronte alla possibilità di un intervento militare per fermare il caos. Finora la prudenza ha avuto la meglio. E da questa consapevolezza Putin sa trarre vantaggio. La Russia, come la Corea del Nord, gode dello status, riconosciuto in Occidente, di potenza nucleare.

Il capo del Cremlino sa come farsi ascoltare, ed è stato ascoltato. Per l’Occidente è arrivato il momento di decidere se una diplomazia di vecchio stampo, costruita sulle parole, sulle sanzioni e l’invio di armi, sia sufficiente davvero per fermare l’invasione russa in Ucraina e la guerra che Putin minaccia di scatenare ben oltre.

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