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Nelle ultime settimane si sta discutendo molto – e a ragione – della possibilità per l’Ucraina di entrare nell’Unione Europea. L’invasione da parte della Russia ha suscitato un moto di solidarietà verso Kiev da parte di tutti i Paesi Ue (ad eccezione delle posizioni ambigue dell’Ungheria di Viktor Orbán), portando anche Ursula von der Leyen ad incontrare Volodymyr Zelensky e a consegnargli i moduli necessari per predisporre la candidatura a Stato membro.

Modulistica che è stata prontamente compilata e inviata a Bruxelles, in attesa che il processo formale abbia inizio. Giustamente oggi i riflettori sono tutti puntati sull’Ucraina, ma sarebbe sbagliato e ingiusto dimenticarsi degli altri Paesi europei – situati nella regione dei Balcani – che da diverso tempo aspirano a far parte della “famiglia europea”.

Quando 27 anni fa con la pace di Dayton si mise fine alle guerre balcaniche, la comunità internazionale indicò nella integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche l’obiettivo strategico per dare stabilità e sicurezza ai Balcani e alle nuove nazioni post-Jugoslavia. Un impegno assunto formalmente dall’’Unione europea con lo storico Consiglio europeo di Salonicco.

L’ingresso della Slovenia e dei Paesi dell’Europa centrale nel 2004 suscitò nei Balcani l’aspettativa di una rapida integrazione; aspettativa alimentata anche dalla decisione della Nato di aprire le sue porte ad alcune nazioni della regione. Tali aspirazioni sono state realizzate solo in parte, ma va ricordato che si tratta di un processo ancora in corso e che richiede diversi anni per essere portato a compimento.

Non si tratta infatti di una procedura puramente politica (e che comunque richiederebbe il rispetto di alcune regole fondamentali, come la presenza di un solido stato di diritto e di robuste istituzioni democratiche) ma anche economica, con la necessità di compiere un percorso di stabilizzazione e di convergenza agli indicatori richiesti dall’Unione Europea. Una strada non immediata per Paesi che sono partiti trent’anni fa da bassi livelli di sviluppo, venendo da sistemi di tipo socialista (o ancora più estremi, come nel caso dell’Albania).

Ma tutti gli sforzi e i buoni risultati costituiti negli anni rischiano di essere vanificati se non si offrono a questi Paesi tempi certi e procedure più semplici. I sentimenti di delusione e frustrazione suscitati dal dover aspettare da più di vent’anni sulla porta d’ingresso dell’Europa si possono già toccare con mano. Un recente sondaggio in Macedonia del Nord mostra come il sostegno all’Unione Europea sia precipitato dal 50% a poco più del 13% nel giro di pochi anni.

Servirebbe insomma un cambio di passo e un’accelerazione del processo di integrazione dei Balcani occidentali. Ad oggi, i Paesi della regione ufficialmente candidati all’ingresso nell’Ue sono Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia con quest’ultima in “ultima fila” tra gli aspiranti nonostante abbia una economia tra le più forti della regione.

La guerra ucraina dovrebbe almeno servire alle cancellerie europee a ricordare che esiste ancora un vuoto in una parte dell’Europa che ci è molto vicina storicamente e culturalmente e specialmente all’Italia. Le tante turbolenze che percorrono il Mediterraneo orientale e la crescente presenza nella regione di altri attori internazionali (Cina, Russia, Turchia, Emirati Arabi) richiamano ad un pieno coinvolgimento dei Balcani nella Politica estera e di sicurezza europea.

L’integrazione europea dei Balcani Occidentali dovrebbe dunque rimanere una delle priorità strategiche non solo dell’UE, ma prima di tutto del Governo italiano. La stabilità nella regione adriatica ha un’importanza strategica per il nostro Paese, dal momento che ci consentirebbe di ampliare la nostra sfera di influenza politica ed economica in tutto il bacino del Mediterraneo orientale.

Ecco perché la doverosa attenzione dedicata all’Ucraina non deve sottrarre sforzi e risorse dedicate all’inclusione della regione balcanica: allargare lo spazio democratico europeo ha prodotto grandi vantaggi negli ultimi due decenni. È opportuno proseguire su questa strada – promuovendo magari percorsi di integrazione flessibili e “a più velocità” – se vogliamo che l’Ue conti di più nel mondo e riesca anche a non farsi ricattare da vicini ingombranti e nemici del diritto internazionale come la Russia.

La riunione questa settimana a Tirana dei rappresentanti dei Parlamenti nazionali dei dieci Paesi appartenenti alla Iniziativa Adriatico Ionica (Iai) ed il Forum Iai – Eusair (Strategia Europea per la Regione Adriatico Ionica) sempre a Tirana fra due settimane dotto la presidenza di turno della Albania, dovrebbero contribuire a rilanciare l’interesse per le cancellerie europee per questa regione fondamentale per la pace e lo sviluppo nel continente europeo e nel Mediterraneo e che solo fino a venti anni fa è stata martoriata da sanguinosi conflitti etnici e religiosi.

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