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Il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, e il suo omologo saudita, Faisal Bin Farhan, martedì 21 dicembre hanno partecipato a un incontro virtuale di alti diplomatici di vari Paesi del mondo ospitato dal segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione per combattere la variante Omicron del coronavirus.

Ossia: gli Usa hanno messo allo stesso tavolo (sebbene digitale) Israele e Arabia Saudita, due Paesi teoricamente divisi da distanze ideologiche quasi esistenziali, con la monarchia sunnita protettrice dei luoghi dell’Islam che non riconosce l’esistenza dello stato ebraico.

Siamo ancora lontani dagli Accordi di Abramo con cui gli Emirati Arabi Uniti e altri Paesi islamici hanno normalizzato le relazioni con Gerusalemme, passaggio che per i sauditi è complicato dal ruolo nevralgico ricoperto nell’Islam, ma si tratta di un dialogo laterale da non sottovalutare. Soprattutto in questa stagione di distensione pragmatica tra i vari attori mediorientali, dinamica che è fortemente voluta dagli Stati Uniti.

Omicron è un buon proxy, con Israele che in questa pandemia rappresenta un’avanguardia nella gestione sanitaria e sociale. L’incontro è stato reso pubblico da fonti israeliane che ne hanno parlato con il Times of Israel: sia Lapid che Blinken hanno rilasciato dichiarazioni in seguito, ma nessuno dei due ha menzionato la presenza di Farhan nella Zoom-call.

Riad ha fatto una serie di passi negli ultimi anni verso la normalizzazione delle relazioni con Gerusalemme. Per quanto noto, pare che partecipi da dietro le quinte alle dinamiche degli Accordo di Abramo, avallandoli nella forma — mentre in almeno un’occasione ha provato a proporsi come sponda alternativa: è successo per esempio quando ha offerto a Emirati e Giordania l’opportunità di portare avanti insieme un progetto energetico in cui è coinvolto anche Israele.

Meno dietro le quinte, i sauditi hanno iniziato a concedere il permesso di volo all’interno del proprio spazio aereo ai velivoli di linea israeliani diretti a Dubai e Abu Dhabi. Altri contatti vanno avanti da tempo e riguardano il tema sicurezza: sia nei confronti del contenimento dell’Iran, sia nella lotta al terrorismo, entrambi nemici comuni. Tuttavia, i legami israelo-sauditi sono rimasti quasi interamente a livelli non ufficiali, e il regno del Golfo insiste che non cambierà a meno che Israele non faccia passi in avanti con i palestinesi.

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è favorevole agli Accordi di Abramo, mediati dall’amministrazione Trump, e sta seguendo il flusso per sviluppare i nuovi legami di Israele con i suoi vicini arabi. È una componente importante per la strategia con cui gli americani intendono disimpegnarsi dalla regione — per concentrarsi maggiormente su dossier come l’Indo Pacifico: primo, cruciale anello del contenimento cinese.

Biden, a differenza del suo predecessore, è però più cauto nello spingere l’espansione di questi accordi, propenso a collegarli a progressi su alcuni fronti, come la diatriba palestinese o al rispetto dei diritti umani.

Lapid e Faisal bin Farhan non erano soli con Blinken: alla riunione hanno partecipato anche i ministri degli Esteri di altri Paesi, tra cui Giappone, India, Messico, Australia, Germania, e questo contesto allargato ha permesso di annacquare la presenza di Riad. Che — sebbene tenuta fuori anche dal readout del dipartimento di Stato — è comunque un dato politico: in altri periodi il regno avrebbe scelto di non partecipare, ora è portato a farlo da una necessità pragmatica doppia, combattere la pandemia e prendere parte a questa fase distensiva regionale.

“Ho riferito che il virus non si preoccupa se siamo musulmani, ebrei, cristiani o indù, e che anche noi non dovremmo preoccuparci. Dobbiamo combatterlo insieme”, ha detto Lapid. “Blinken ha incontrato virtualmente diversi ministri degli esteri e rappresentanti di organizzazioni regionali coinvolte nella risposta alla variante Omicron. Hanno scambiato informazioni per comprendere meglio la variante Omicron, coordinare una risposta globale e accelerare gli sforzi per combattere la Covid-19”, ha scritto il dipartimento di Stato. Il ministero saudita non ha confermato pubblicamente la sua partecipazione alla riunione virtuale, ma nemmeno smentito.

A fine settembre, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, avrebbe sollevato il tema di normalizzazione dei legami dell’Arabia Saudita con Israele durante un incontro con il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman nella città di Neom sul Mar Rosso.

Bin Salman non ha respinto la proposta a priori, secondo quanto filtrato ad Axios, ma ha fatto delle richieste. Il factotum di Riad vuole un miglioramento delle relazioni bilaterali con Washington, che come detto si sono un raffreddate, riprendendo dinamiche classiche (dopo che con l’amministrazione Trump seguivano un singolare canale famigliare) e più severe sulla situazione dei diritti umani nel regno.

Recentemente Riad è stata protagonista di sforzi per ricomporre i legami con il Qatar e tentare di costruire qualcosa con l’Iran. È un segnale che l’Arabia Saudita sta andando in una direzione propria, che non include necessariamente la creazione di legami diplomatici con lo stato ebraico e che potrebbe portare Riad a essere il motore di altri movimenti di dialogo regionali. Movimenti su cui Washington sarebbe parzialmente escluso, sebbene incasserebbe i benefit dell’effetto distensivo.

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