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Sul sito web del Gchq, il quartier generale della signal intelligence britannica, c’è una pagina con alcuni logogrammi. Per accedere alla fase successiva bisogna rispondere a una domanda: “Che cosa significano per te?”.

Si tratta di quattro parole in mandarino che riguardano gli aspetti dell’attività di intelligence del Gchq ma anche delle unità MI5 e MI6, cioè i servizi di spionaggio e controspionaggio. Indovinarle dà accesso a un bottone: “Apply now”, cioè candidati ora come esperto di mandarino.

“È un ruolo cruciale. Aiuterai le indagini, effettuerai valutazioni e prenderai decisioni operative”, si legge. E ancora: “A causa del lavoro specializzato che ogni agenzia svolge, lavorerai con materiale che non troverai da nessun’altra parte. E poiché lavoriamo tutti insieme per mantenere la sicurezza del paese, avrai la possibilità di collaborare con tutte e tre le agenzie”.

Che cosa farai? “Non ti limiterai a tradurre materiali unici, ma fornirai approfondimenti di intelligence”. Non solo: “Come esperto di mandarino, ci aiuterai a capire l’intelligence. Perché se non conosciamo l’intelligence, non possiamo usarla per dare forma alle indagini. Quindi avrai un impatto diretto sul mantenimento della sicurezza del Regno Unito”.

Chi è il candidato ideale? “Capiamo che una lingua non si impara con un semplice corso. Ecco perché non cerchiamo solo persone con una laurea. Infatti, le tue conoscenze del mandarino potrebbero derivare da qualcuno nella tua famiglia che parla la lingua, o dall’immergerti nella cultura cinese. Ed è fantastico, perché abbiamo bisogno che tu abbia una grande conoscenza della cultura in modo da poter contestualizzare le cose. In questo modo, riuscirai a comprendere l’intera storia”.

Ad aprile, il capo delle cyber-spie britanniche, Sir Jeremy Fleming, direttore della “Ciambella”, com’è soprannominato il Gchq, ha pronunciato un discorso all’Imperial College di Londra che segnala come la svolta governativa verso la Cina coinvolga anche i servizi segreti. Ha invitato l’Occidente ad agire velocemente per evitare che la Cina non domini le tecnologie chiave del XXI secolo. “La minaccia posta dall’attività della Russia è come trovare una vulnerabilità su una specifica app sul tuo telefono: è potenzialmente grave, ma probabilmente puoi usare un’alternativa”, ha spiegato.

Invece, “la preoccupazione è che la dimensione e il peso tecnologico della Cina significa che ha il potenziale per controllare il sistema operativo globale”. E ancora: “Stati come la Cina sono i primi a implementare molte delle tecnologie emergenti che stanno cambiando l’ambiente digitale. Hanno una visione concorrente per il futuro del cyberspazio e stanno giocando fortemente nel dibattito intorno alle regole e agli standard internazionali”.

Non rimane che aspettare la reazione del governo cinese che, visti i precedenti, è molto attesa.

Dopo la riorganizzazione della Cia con la nascita di due nuovi centri di missione, uno di questi dedicato proprio a quella che il direttore William J. Burns “la minaccia proviene dal governo cinese”, la “più importante minaccia geopolitica che affrontiamo nel XXI secolo”, la propaganda di Pechino aveva invocato la “‘guerra di popolo’ contro le spie, in modo che non possano muovere un solo passo e non abbiano luogo in cui nascondersi”.

Come raccontato su Formiche.net, il nuovo China Mission Center dell’agenzia d’intelligence statunitense sembra nato per rispondere in particolare alle recenti preoccupazioni sulle attività spionistiche cinesi negli Stati Uniti. Leon Panetta, ex direttore della Cia e segretario alla Difesa durante l’amministrazione di Barack Obama, ha spiegato a Politico che “la Cina rimane un obiettivo molto difficile da penetrare, e per questo motivo ha senso creare quel centro per stabilire un vero focus sulla Cina”. Nel 2017 il New York Times ha rivelato che le operazioni di spionaggio della Cia in Cina hanno subito un durissimo colpo tra il 2010 e il 2012, con almeno una dozzina di fonti uccise o scomparse.

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