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L’occhio del mercato, che tutto vede. La partita per il Quirinale si apre oggi, almeno ufficialmente. Nelle stanze di Montecitorio si susseguono i colloqui tra le diverse forze politiche al fine di trovare la quadra sul successore di Sergio Mattarella, sempre che non si materializzi in caso di stallo a oltranza, un clamoroso bis. Ma sulle grandi piazze finanziarie, tra gli investitori e le banche d’affari, qualcuno le sue conclusioni le ha già tratte. D’altronde, i giochi di palazzo sono una cosa, la credibilità di un Paese dal terzo debito pubblico al mondo è altra storia.

Non bisogna infatti mai dimenticare che l’Italia vive di prestiti. A cominciare dai mercati, che ogni anno sottoscrivono Btp per 400 miliardi e passa, finanziando metà della spesa pubblica nazionale. Poi c’è l’Europa e quei 200 miliardi del Recovery Fund, anch’essi in buona parte a prestito. Per tutti questi motivi l’Italia non può permettersi una risalita dello spread Btp-Bund, il termometro del debito sovrano. Rimasto, almeno fino ad oggi, su livelli contenuti, anche se non sono mancate fiammate a 140 punti base, con rendimenti sul decennale oltre l’1,1%.

E anche oggi, primo giorno di votazioni per il nuovo inquilino sul Colle più alto di Roma, il differenziale si è mantenuto su livelli di poco superiori ai 130 punti base. Segno che i mercati sono in attesa di capire se Mario Draghi traslocherà al Quirinale o rimarrà a Palazzo Chigi. Una cosa sembra certa. Draghi non deve uscire dalla scena politica, preferibilmente rimanendo a Palazzo Chigi, in subordine salendo al Colle. Ma deve, ed è questo il voto della finanza internazionale, restare al centro della vita politica di oggi e di domani.

Di questo avviso sono, per esempio, gli analisti di Bank of America. I quali si attendono un esito politico di coesione fra i partiti, con Draghi alla guida o come premier o come Capo dello Stato. Questo, scrivono gli economisti della banca d’affari americana, manterrebbe calmo e tranquillo lo spread, con l’ex presidente della Bce da una parte garante della stabilità politica dall’alto del Quirinale o in una posizione più operativa a Palazzo Chigi.

Goldman Sachs, pochi giorni fa, era stata più netta nell’esprimere un suo giudizio sulla partita per il Quirinale, respingendo l’idea di eleggere Draghi presidente della Repubblica. Non tanto per una qualche forma di pregiudizio personale, ma perché l’ex presidente della Bce rappresenta ancora oggi una sorta di garanzia per la realizzazione del Recovery Plan. C’è chi poi, come Bloomberg, tira in ballo direttamente lo spread. Senza il padre del whatever it takes al centro della scena, Chigi o Colle, si rischia di far schizzare il differenziale ben oltre i 200 punti base in poco tempo.

“Gli spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi a 10 anni si sono ampliati in vista del voto di questa settimana, ma non in modo enorme. Draghi è al potere da quasi un anno e in questo periodo c’è stata un’espansione economica del 6,3%, ha realizzato una delle campagne di vaccinazione di maggior successo in Europa e avviato riforme per affrontare i mali di vecchia data, come una burocrazia gonfia e lenta sistema giuridico”, ha chiarito l’agenzia americana.

Non è tutto. Secondo un’altra banca d’affari, Credit Suisse, “quest’anno ci sono maggiori preoccupazioni rispetto alle scorse elezioni per il Quirinale, dal momento che uno dei principali contendenti è l’attuale attuale premier Draghi la cui azione del governo è risultata determinante per la recente stabilità politica dell’Italia e l’introduzione di riforme economiche chiave”.

E ed è Mario Draghi il boccino della politica anche per Alberto Nagel, ceo di Mediobanca, che, intervistato dal Financial Times e riferendosi al Pnrr sottolinea che “il fondo per la ripresa può essere un game changer in termini di ulteriore crescita economica, che è particolarmente significativa per un Paese indebitato. Chiaramente, la migliore garanzia perché ciò accada è che Draghi rimanga in un ruolo istituzionale di primo piano per alcuni anni”. Insomma, Chigi o Colle, purché sia Draghi.

Palazzo Chigi o Colle, purché sia Draghi. La finanza ha già votato

Mercati, banchieri e persino lo spread sembrano essere d’accordo. La permanenza al governo dell’ex presidente della Bce sarebbe una polizza per la crescita e la credibilità verso chi compra il debito italiano. Ma l’alternativa del Colle resta comunque garanzia del suo restare baricentro della scena politica

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