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Pace e stabilità in Europa sono appese al filo della crisi ucraina. A corrente alternata, il conflitto si trascina dal 2014. Mai congelato: ha fatto circa 14.000 vittime di cui un terzo civili. Finora era stato faticosamente circoscritto. Non più. Mosca ha alzato la posta. Ne ha fatto oggetto di un confronto con l’Occidente – con gli Usa, la Nato e l’Ue – che va ben al di là delle sorti del Donbas ribelle.

Vladimir Putin usa la minaccia di diretto intervento militare in Ucraina per ridisegnare gli equilibri di potere in Europa. Non fa mistero dell’obiettivo. Dopo aver fatto quadrato intorno a Kiev, l’Occidente deve decidere come rispondere alla proposta russa di due nuovi trattati, bilaterale con gli Usa e con la Nato. Le richieste di partenza sono inaccettabili. Non però il negoziato. Che è anzi necessario.

La partita della sicurezza europea si gioca nel triangolo minaccia militare russa a Ucraina – capacità di deterrenza occidentale – condizioni per negoziare. L’iniziativa è nelle mani della Russia di Putin che gioca contemporaneamente sul tavolo militare e su quello diplomatico. Sul primo minaccia, sul secondo propone. Sulla difensiva, Stati Uniti ed europei rispondono ai cannoni della minaccia militare col burro delle sanzioni economiche. Queste ultime rendono essenziale il ruolo dell’Unione europea – e della Germania in particolare. L’annuncio, da parte di Putin, di colloqui russo-americani a Ginevra in gennaio è un’avvisaglia di negoziato. Americani ed europei avranno però bisogno di una strategia prima e di coordinarsi dopo, all’interno della Nato e fra Usa, Nato e Ue.

Nel riaccendere la miccia ucraina, Putin rilancia Mosca sullo scacchiere europeo e atlantico. L’Ucraina è pretesto e terreno di questa voluta prova di forza. La tecnica seguita, di proporre negoziati con il cingolo dei carri amati come colonna sonora, è un triste flashback agli anni più cupi della guerra fredda se non addirittura alla prima metà del ‘900, quando la mobilitazione militare era corollario dell’esercizio diplomatico. Oggi come allora, il fine è il secondo; la prima è il mezzo. Il problema è che se la diplomazia fallisce, la mobilitazione resta. A quel punto, o la si usa – ed è guerra; o si fa marcia indietro, e si perde la faccia.

L’ingente schieramento di truppe russe alla frontiera ucraina è in atto da un paio di mesi e in crescendo. Non ci sono stati sviluppi sul terreno che lo giustifichino. Dall’altra parte non c’è alcun paragonabile spiegamento di forze. In Donbas, un tenue cessate il fuoco aveva tenuto fino all’estate scorsa. L’unica spiegazione possibile è dunque il riscaldamento ai bordi del campo per avere un’offensiva contro Kiev pronta per l’uso. Se, quando, come e con che obiettivi strategici è un segreto ben custodito nella mente del presidente russo e di pochi altri. Basta e avanza a non far dormire sonni tranquilli al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

Messo in guardia, l’Occidente ha risposto all’unisono: se la Russia invade l’Ucraina “pagherà un costo massiccio”. Da Washington e da Bruxelles, da Ue e da Nato, il messaggio è stato praticamente identico. Joe Biden lo ha ribadito nel vertice telefonico con Putin. Per “costo” si intende una robusta punizione economica, non un intervento militare. Il differenziale fra minaccia militare e deterrenza economica non significa che la seconda sia irrilevante. La Russia contemporanea è integrata nel mondo globalizzato. Ha bisogno dell’approvazione di Nord Stream 2 su cui ha investito molto. Si troverebbe in forte difficoltà se esclusa dal circuito delle transizioni finanziarie internazionali.

La Russia non è l’Urss che si sigillava dal resto del mondo. Il “costo” che Mosca pagherebbe è reale.  Ma può essere disposta a pagarlo per incassare un doppio dividendo: sottoposizione di Kiev e umiliazione di Nato e Ue. D’altro canto, sul piano militare l’invasione dell’Ucraina non sarebbe una passeggiata. Kiev riceve forniture e assistenza indiretta da Usa e da molti paesi Nato. È un altro deterrente. Putin è un giocatore di scacchi ma questa volta la partita somiglia più a Risiko – o a una roulette russa. Errori di calcolo e incognite sono sempre in agguato.

Negoziare è l’opzione più promettente. Per Mosca come per noi. L’avvio di colloqui russo-americani in gennaio a Ginevra è un piccolo segnale incoraggiante. Parlare deve però servire a porre le premesse necessarie per avviare un dialogo sulla stabilità strategica in Europa allargato ad europei e a Nato. Queste premesse includono la rimozione del ricatto russo all’Ucraina.

Non si negozia sulla sicurezza europea con la pistola russa puntata alla tempia di Kiev. Se Mosca vuole veramente intraprendere la via della diplomazia dovrà ritirare le truppe ammassate alla frontiera. Poi si può cominciare a parlare seriamente, con l’Ucraina al tavolo, non dietro le sue spalle. Da parte nostra – Nato e Ue – non basta respingere le proposte russe; occorre pensare a controproposte.

La sicurezza europea che per trent’anni abbiamo dato per scontata e acquisita è a rischio Ucraina. Per quanto le pretese di Mosca possano essere irrealistiche, bisogna parlarne. Non fra di noi, con i russi. È tempo di riconoscere che questo difficile dialogo è una necessità, nel nostro interesse, non un premio alla Russia. Come diceva John Kennedy, che affrontò con successo la crisi dei missili cubani, la più acuta e pericolosa dell’intera guerra fredda, non si deve negoziare per paura, ma non bisogna aver paura di negoziare.

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