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Che uno dei “retroscenisti” più quotati del più importante quotidiano italiano (Francesco Verderami del Corriere della Sera) si prenda la briga di commentare – in un articolo a cui non è stato lesinato lo spazio – un aspetto del trattamento pensionistico dei parlamentari per nulla diverso da quanto è consentito da sempre a tutti i lavoratori italiani, dimostra come “fa sempre notizia” sparare sulla Croce Rossa quando vi è trasportato un “eletto dal popolo”. Quale è il problema? Nell’ambito della rappresentazione denigratoria dei parlamentari (solo tesserino e vitalizio) circola un luogo comune: le Camere non si sciolgono anticipatamente – ancorché sul piano politico stiano in vita con la respirazione artificiale – fino a quando i deputati e i senatori non abbiano acquisito il diritto di percepire la pensione valicando il Rubicone di 4 anni 6 mesi e un giorno di durata del loro incarico. Tanto più che, grazie all’amputazione dei seggi confermata da un voto referendario, molti dei parlamentari attuali non saranno neppure candidati.

Ammesso e non concesso che prevalga su ogni considerazione di carattere politico questa propensione (in)degna di un mercenario, è opportuno precisare cosa prevedono le regole e come il tutto possa essere ricondotto ad una banale normalità. Del resto è quanto ha chiarito il Consiglio di giurisdizione nel suo comunicato di smentita di una sentenza (inesistente) descritta come se avesse innovato, a favore dei parlamentari, i regolamenti vigenti.

  • Dal 1° gennaio 2012 il vitalizio è stato trasformato in pensione secondo le norme vigenti per i dipendenti pubblici. Da quella data il calcolo del trattamento si effettua con il metodo contributivo, pro rata per chi era già in attività e per intero per i nuovi eletti.
  • Tutti i sistemi pensionistici obbligatori richiedono un minimo di versamenti contributivi che, in relazione all’età di pensionamento stabilita, per avere il trattamento. Nel sistema contributivo questo minimo è pari a 5 anni, in concorso con il requisito anagrafico.
  • Anche nel caso dei parlamentari in regime totalmente contributivo ovvero quelli eletti per la prima volta nella XVII o nell’attuale legislatura il requisito minimo è di 5 anni (non di una legislatura piena come era in altre epoche) anche non continuativi e cumulabili.
  • In tutti i sistemi è ammessa, su richiesta, la c.d. contribuzione volontaria per consentire ad un lavoratore di completare, a suo carico, il completamento del requisito contributivo minimo utile per la pensione. Peraltro in diverse occasioni anche gli interventi legislativi che hanno comportato un aumento dell’anzianità di servizio per ottenere la pensione, hanno mantenuto i previgenti requisiti per coloro che avessero in corso la contribuzione volontaria.

Tutto ciò premesso dove sta la notizia? Anche ai parlamentari, come a tutti i signor Mario Rossi d’Italia, viene concesso di ricorrere alla contribuzione volontaria se non maturano, per interruzione anticipata della legislatura o per altri motivi, i 5 anni canonici (che lo ripetiamo non coincidono necessariamente con una legislatura completa). Il problema si pone, adesso, per coloro che sono stati eletti per la prima volta in questa legislatura, per i quali – se non rieletti – è conveniente completare a loro carico il quinquennio. Pertanto i parlamentari che si avvalessero di questa opportunità non farebbero nulla di diverso dalla “casalinga di Voghera” (nei confronti della quale esprimiamo la nostra solidarietà per essere divenuta bersaglio di paragoni al limite dell’offesa).

Non era questo ciò che voleva il “politically correct” anticasta? Abusando di questo principio in regime di autodichia le Camere hanno ricalcolato – sulla base di criteri “contributivi” astratti e costruiti a tavolino – i vitalizi degli ex parlamentari, i quali, in questo modo, sono divenuti “più uguali degli altri” nel senso che sono gli unici cittadini che hanno subito questa operazione; per giunta non sono riusciti fino ad ora ad ottenere un pronunciamento degli organi giurisdizionali interni, che, per ragioni politiche hanno proclamato lo sciopero della sentenza.

Pensioni dei parlamentari? Un falso allarme. L'analisi di Cazzola

È opportuno precisare cosa prevedono le regole e come il tutto possa essere ricondotto ad una banale normalità. Del resto è quanto ha chiarito il Consiglio di giurisdizione nel suo comunicato di smentita di una sentenza (inesistente) descritta come se avesse innovato, a favore dei parlamentari, i regolamenti vigenti

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