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Altro che tempi supplementari. La partita del Cop26 è arrivata ai rigori, e rischia di finire in rissa. Non è bastata una settimana a trovare un compromesso fra i grandi del mondo per la salvaguardia dell’ambiente. Finché si tratta di buone intenzioni, nessun problema. Ma il diavolo, si sa, è nei dettagli.

Così anche la terza bozza di conclusioni atterrata sul tavolo della kermesse inglese dopo sei giorni di tiro alla fune potrebbe non essere definitiva. Il documento chiede ai Paesi di aumentare in fretta l’uso di energia pulita, lancia un non-expedit contro il carbone e “i sussidi inefficienti contro i combustibili fossili”. Di più: riconosce “il diritto al sostegno verso una transizione equa”, cioè il diritto-dovere di mettere sul piatto della transizione verde correttivi economici per chi rischia di pagare il conto più alto.

Sembrano cavilli ma così non è. Non è un cavillo, ad esempio, indicare i combustibili fossili come “driver” della crisi climatica, e infatti nessuna Cop in precedenza lo ha mai fatto. Ecco spiegato lo stallo, e la tensione a Glasgow.

Il summit, iniziato a margine del G20 di Roma, doveva concludersi venerdì, ma si è protratto di un altro giorno. Un imprevisto, tanto che diverse delegazioni hanno dovuto prendere il volo per il ritorno lasciando i negoziati in sospeso. Sabato pomeriggio i toni si sono fatti drammatici.

Così l’“arbitro” della conferenza, il presidente Alok Sharma, ha lanciato un appello a chiudere in serata, “è il momento della verità per il Pianeta”. Gli ha fatto eco il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans: “Vi imploro, accogliete questo testo, che porta speranza ai nostri figli e nipoti. Non ci perdoneranno se falliamo oggi”.

Gli ostacoli però rimangono. Il più grande si chiama India. Quando sembrava essersi aperto uno spiraglio sabato pomeriggio, Nuova Dehli, fra i Paesi più dipendenti dai combustibili fossili e meno inclini a liberarsene, insieme a Cina, Russia e Australia, ha calato la scure. “Nessuno tocchi il carbone”, è stato il senso dell’intervento del ministro dell’Ambiente indiano Bhupender Yadav, che ha tentato di bloccare l’inclusione nella bozza finale del riferimento alla transizione dai combustibili fossili, perché i Paesi in via di sviluppo “hanno diritto a farne un uso responsabile”.

Che il fronte contrario alla neutralità climatica fosse più ostico del previsto si era capito già al G20, quando il pressing di Cina, Russia e India era riuscito a trasformare il riferimento all’eliminazione di emissioni di gas serra “entro il 2050” in un più generico “entro la metà del secolo”. A Glasgow, lunedì, il premier indiano Narendra Modi ha squarciato il velo sui piani del colosso asiatico: di neutralità neanche l’ombra prima del 2070, vent’anni dopo la scadenza fissata dagli Accordi di Parigi.

Ma i cahiers de doleances di questa lunga e interminabile Cop non finiscono qui. Sulle barricate ci sono altri Paesi in via di sviluppo, dal Sud America all’Africa. Un nodo ancora intricato riguarda i finanziamenti per rendere la transizione “smooth”, liscia, e soprattutto equa. “Non ci sono nella bozza”, ha tuonato la delegazione del Gabon alla plenaria di Glasgow, “non possiamo tornare in Africa senza un affidabile pacchetto per l’adattamento”.

Si prosegue a oltranza, di virgola in virgola. E forse già questa è una sconfitta per un summit che aveva ben altre ambizioni. I leader del mondo si sono risentiti dell’ennesima, infelice strigliata della giovane attivista Greta Thunberg, scagliatasi contro i “bla bla” dei summit eco-friendly. Ma finora non sono ancora riusciti a smentirla.

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