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Nel conflitto in corso in Ucraina, l’electronic warfare ha rappresentato una sfida imponente per le forze di Kyiv, mettendo a dura prova le capacità di sorveglianza e ricognizione dei droni ucraini. Ma l’impiego operativo di un nuovo modello di drone noto come V-Bat, sviluppato appositamente per essere resistente agli attacchi elettronici, ha dato prova di quanto nelle condizioni della guerra moderna una capacità simile svolga un ruolo fondamentale. A raccontarlo è Brandon Tseng, presidente e co-fondatore di Shield AI, l’azienda con sede in California produttrice di questi droni.

In un’operazione condotta ad agosto nei pressi della città di Dnipro, il V-Bat ha permesso a un gruppo di operatori speciali ucraini di superare le “linee di difesa elettroniche” russe e di individuare bersagli di alto valore, come le batterie di missili terra-aria SA-11 Buk. “Abbiamo lanciato il V-Bat a circa quaranta chilometri dalla linea del fronte, volando per oltre cento chilometri oltre le posizioni nemiche”, ha spiegato Tseng. Il drone ha individuato i sistemi missilistici contraerei russi e ha trasmesso i dati di localizzazione all’artiglieria, che ha poi colpito con i bersagli usando i razzi di precisione Himars.

La missione ha rappresentato un successo cruciale per i V-Bat, dimostrando come esso sia in grado di raccogliere dati di puntamento e di trasmetterli rapidamente alle unità di artiglieria, operando anche in presenza delle più avanzate tecniche di guerra elettronica oggi conosciute. Sebbene l’Ucraina disponga di alcuni droni capaci di operare in ambienti con elevata interferenza elettronica, molti di essi sono limitati a missioni di attacco autonome con munizioni di piccola portata. Il V-Bat, invece, ha permesso di incrementare la general awareness del campo di battaglia, essenziale per neutralizzare le posizioni nemiche grazie alla sua capacità di passare rapidamente i dati a soluzioni d’artiglieria potenti come i cannoni e gli Himars.

Con un’autonomia di volo che raggiunge le trecento miglia, il V-Bat ha cambiato le carte in tavola per le forze ucraine, permettendo di ottenere informazioni di intelligence mai raccolte prima. “Gli ucraini sono rimasti sorpresi dalle nostre capacità di resistenza: avevano droni con una portata limitata a sessanta o cento chilometri, e un’autonomia in volo di circa dieci, quindici minuti. I nostri V-Bat, invece, possono stazionare in aria per un periodo che andava dalle otto alle dieci ore, garantendo il tempo necessario per identificare numerosi bersagli”, ha commentato Tseng.

Già a giugno Shield AI aveva testato il drone all’interno del conflitto in Ucraina, dimostrando che poteva avvicinarsi fino a mille metri dai jammer russi senza subire alcun impatto operativo. Nonostante questo successo, c’erano ancora scetticismi tra gli alleati Nato, molti dei quali erano convinti che nessun drone potesse superare tali test. Per questo, è stata necessaria un’ulteriore dimostrazione in condizioni di combattimento.

Il V-Bat ha anche una struttura compatta e versatile, tanto da poter essere trasportato in un Suv e di essere lanciato verticalmente. Questo è un vantaggio decisivo per le forze ucraine poiché permette loro di evitare di ricorrere alle piste di decollo, spesso osservate e colpite dall’artiglieria russa. Inoltre, il V-Bat è in grado di inviare non solo dati di puntamento, ma anche valutazioni dei danni subiti dai bersagli, permettendo così di sfruttare al meglio le limitate risorse di munizioni disponibili. E il drone sarà ulteriormente migliorato in futuro: Shield AI sta lavorando per integrare missili direttamente a bordo del drone, come ad esempio l’Hatchet, una munizione laser-guidata della Northrop Grumman che verrà resa operativa il prossimo anno.

Jamming? No, grazie. Il nuovo drone di Shield AI usato in Ucraina

In un’operazione nei pressi di Dnipro il V-Bat ha condotto un’operazione di target acquisition superando le difese elettroniche russe. Dando prova delle sue capacità in un conflitto come quello ucraino

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