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Che sotto la guida di Dario Scannapieco, uno dei “Draghi boys” al Tesoro negli anni Novanta, Cassa depositi e prestiti abbia inaugurato un nuovo corso è apparso ancora più chiaro, se mai ce ne fosse stato bisogno, con la presentazione del piano strategico che guarda al 2024 e impegna 65 miliardi di euro su quattro pilastri: clima, digitale, crescita e produttività.

Ma il nuovo corso, all’interno del quale va letta anche l’offerta del fondo statunitense Kkr per Tim, è tale anche se si guarda all’arena internazionale. Per dirla con la prestigiosa rivista americana Foreign Affairs, “allineando le sue politiche con le priorità statunitensi ed europee” l’Italia di Mario Draghi “ha reso chiara la sua posizione nell’emergente competizione tecnologica tra Cina e Occidente”.

Così non è passata inosservata ai più attenti l’uscita di scena di Franco Bassanini dalla presidenza di Open Fiber, società incaricata di accelerare la messa a terra dell’infrastruttura a banda larga. Il tutto è avvenuto dopo il via libera senza condizioni della Commissione europea all’operazione con cui Cdp e il fondo australiano Macquarie hanno acquisito la quota di Enel in Open Fiber portandosi rispettivamente al 60% e al 40%.

Al posto di Bassanini, già deputato, senatore, ministro nei governi Prodi I, D’Alema II e Amato II e dal 2008 al 2015 presidente di Cdp, arriva Barbara Marinali, che dal 2021 siede nel consiglio di amministrazione di Webuild, colosso delle costruzioni a sua volta partecipato da Cdp. L’attuale amministratore delegato Francesca Romana Napolitano, temporaneamente al vertice dallo scorso agosto, dovrebbe lasciare il posto a Mario Rossetti, attuale direttore generale.

Fu sotto la gestione Bassanini che State Grid of China, colosso pubblico che nel 2014 acquistò da una Cassa depositi e prestiti in “bisogno di capitale”, come scriveva qualche settimana fa Repubblica, una quota di minoranza (35%) di Cdp Reti, il veicolo di investimento che gestisce le partecipazioni in Snam (31,35%), Italgas (26,02%) e Terna (29,85%). Il governo guidato da Matteo Renzi, con ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, scelse un partner strategico come State Grid sperando che l’alleanza avrebbe potuto aprire un ponte tra i due Paesi. Ma “così non è stato, le aziende italiane sono cresciute con le loro gambe e, anzi, a tratti si sono trovate a gareggiare contro il loro socio cinese”, notava il quotidiano diretto da Maurizio Molinari.

Quella partecipazione è finita da qualche settimana sotto i riflettori del governo Draghi, come raccontato su Formiche.net. Obiettivo: ridurre il peso dei cinesi. Ci stanno lavorando alcune banche d’affari. Intanto, il 18 novembre scorso, un comunicato di Cdp Reti ha informato delle dimissioni di Yunpeng He, uomo di fiducia di State Grid che siede nei cda di Cdp Reti, Snam, Italgas, Terna oltre che della greca Ipto. Al suo posto è stato cooptato Qinjing Shen, nuovo amministratore espresso da State Grid Europe Limited. Era stata sempre Repubblica a rivelare che Yunpeng He recentemente era stato “costretto ad alzarsi dai vari consigli per una serie di potenziali conflitti, senza contare che da quando è in vigore la norma del Golden Power, approvata all’inizio della pandemia, la questione è ancora più delicata”.

Un anno fa, Alberto Pagani, deputato del Partito democratico e membro della commissione Difesa della Camera, su Formiche.net (che all’epoca dell’ingresso di State Grid, spesso in solitudine, aveva dedicato approfondimenti e analisi sull’operazione, con la versione anche del presidente di Cdp, Bassanini) citava l’esempio di Cdp Reti (assieme a quelli di Pirelli, Ferretti Yacht e WindTre) per evidenziare come “i capitali cinesi, privati o pubblici, vengono investiti liberamente nell’economia italiana”, mentre “la legge cinese impedisce ad un italiano di acquisire il controllo di una qualsiasi società cinese. Uno straniero può investire in Cina solo se il controllo della società resta in mano cinese, e il socio cinese detiene sempre più del 50% del capitale sociale”, scriveva. “In assenza di regole comuni e di reciprocità”, continuava, “non esiste il libero commercio, perché vi sono posizioni di privilegio e di vantaggio che squilibrano il mercato e danneggiano una parte, che spesso è la più debole, a favore dell’altra”.

Oggi, con la riforma Gentiloni sulla cybersecurity del 2017 e la normativa europea del 2018, State Grid non avrebbe potuto mettere le mani sul 35% di Cdp Reti, notavamo su Formiche.net. “Quando nel 2020 si presentò una situazione analoga in Ansaldo Energia, la soluzione fu più facile perché la società era in crisi, Cdp si offrì di ricapitalizzarla e il socio Shanghai Electric si diluì dal 40 al 12,4%”, concludeva Repubblica. “Su Cdp Reti, che va molto bene, la soluzione è più difficile da trovare”.

In ogni caso, il nuovo corso inaugurato da Scannapieco sotto lo sguardo attento del presidente del Consiglio sembra dimostrato anche dagli avvicendamenti ai vertici delle società che hanno voce in capitolo. Non sono sfuggite agli addetti ai lavori le frequenti dichiarazioni con cui Bassanini aveva auspicato che fosse Open Fiber a prendere in mano l’operazione rete unica, sfidando l’ex amministratore delegato di Tim Luigi Gubitosi e lasciando l’ex monopolista senza il suo asset principale.

Fuori Bassanini, dentro Marinali. Il nuovo corso di Cdp arriva in Open Fiber

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