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Uno dei portavoce del ministero della Difesa turca ha annunciato nuove esercitazioni congiunte ai confini tra Azerbaijan e Iran, che seguono giorni di tensione tra Baku e Teheran. Le manovre, che si chiameranno con nome simbolico “Steadfast Brotherhood” (un richiamo alla fermezza della fratellanza tra etnie turche), inizieranno domani, martedì 5 ottobre, e dureranno per tre giorni. Si svolgeranno nella Repubblica autonoma del Nakhchivan, un’exclave azera in Armenia – un territorio altamente sensibile, nei pressi del confine con l’Iran.

Le esercitazioni erano programmate (sotto calendarizzazione annuale) ma arrivano in un momento particolare: nelle scorse settimane carri armati e blindati iraniani si erano mossi lungo il confine azero simulando un’operazione di invasione. Le autorità azere avevano protestato, Teheran aveva risposto che intende essere pronta perché non si fida della vicinanza al suo confine di Israele. L’affermazione, puramente propagandistica e ideologica, è legata alle relazioni tra lo stato ebraico e Baku: il secondo rappresenta il principale fornitore di petrolio a Israele, che ricompensa la repubblica centra-asiatica con forniture militari tecnologiche – che insieme a quelle turche gli hanno permesso di vincere anche la recente guerra nel Nagorno-Karabakh.

“I nemici di Tehran non devono intraprendere mosse irrazionali che potrebbero avere una risposta schiacciante da parte della Repubblica islamica”, aveva detto il ministro della Difesa iraniano commentando le esercitazioni chiamate “I conquistatori di Khaybar”, altro nome simbolico: nel 628, a Khaybar, Maometto guidò personalmente i medinesi alla conquista della città (un’oasi verso il Mar Rosso) contro gli ebrei che la abitavano. “Ognuno può svolgere qualsiasi esercitazione militare sul proprio territorio. È un diritto sovrano. Ma perché adesso e perché al nostro confine?”, era stata la risposta del presidente azero Ilham Aliyev. Una risposta Aliyev può trovarla nella decisione (ovviamente unilaterale) di tassare i camionisti iraniani che entrano nel Nagorno-Karabakh, ma c’è dell’altro.

La questione è complessa, Teheran si sente accerchiata e ne ha le ragioni: l’Iran sente la pressione di un accerchiamento che nel Golfo vede la cooperazione tra americani, israeliani e Paesi arabi, e a nord quella tra turchi e azeri. La partita al confine caspico occidentale è parte di questioni più ampie per cui la Repubblica islamica si sente minacciata a livello esistenziale. Le manifestazioni di forza in realtà dimostrano una forma di sofferenza, quasi d’impotenza. Per esempio, la scorsa settimana in Bahrein c’era il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, che insieme a una serie di ufficiali della Us Navy celebrava l’invio di navi israeliane nel Golfo. Effetto degli Accordi di Abramo: ossia, navi israeliane davanti alle coste iraniane, sotto coordinamento con i comandanti delle forze navali del Conando Centrale della Naval Support Activity Bahrain. Una minaccia composita per la Repubblica islamica.

Ma ancora: a metà settembre, turchi, pakistani e azeri si erano già esercitati nelle zone meridionali dell’Azerbaigian, “I Tre Fratelli” si chiamava il wargame: altre presenze minacciose per gli iraniani. Come ricorda Michele Giorgio sul Manifesto, lo scorso dicembre il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, ha recitato a Baku una poesia simbolo del pan-turchismo “che lamenta come il popolo azero sia oggi diviso tra l’Azerbaijan e il nord-ovest della Repubblica islamica”. La questione va ben oltre la citazione: come analizzato ai tempi su Formiche, il tema è delicatissimo e riguarda il pan-turchismo, che passa anche da una smobilitazione per ora ideologica verso milioni di azeri che vivono in Iran. Per Teheran erano e sono in ballo anche aspetti economico-commerciali, ma soprattutto ci sono questioni di stabilità interna. La propaganda di Ankara potrebbe alterare gli equilibri sensibili con la grande minoranza etnica – di cui anche la Guida suprema Ali Khamenei è parte.

Perché Iran, Azerbaijan e Turchia litigano

L’Iran sente la pressione di un accerchiamento che nel Golfo vede la cooperazione tra americani, israeliani e Paesi arabi, a nord quella tra turchi e azeri

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