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Il Cda di Bulgarian Energy Holding (BEH), una società statale di proprietà del ministero dell’Energia bulgaro, è stato rinnovato per intero dopo un’indagine dei servizi bulgari. Si tratta di sospetti di infiltrazioni esterne che hanno portato il prezzo del gas a impennarsi del 30%. L’episodio si inserisce all’interno di uno scenario ad alta tensione, dove i riverberi della crisi russo-ucraina si spargono anche sul costone balcanico, terreno (non nuovo) di scontri di interessi e influenze.

007 & gas

Mentre in Ucraina va in scena una possibile guerra ibrida per seminare il panico tra il pubblico, così come annunciato dalla polizia di Kiev, in Bulgaria si è passati ai fatti. L’intero Cda di BEH è stato sostituito: tre settimane fa il ministro delle Finanze Asen Vassilev aveva annunciato che la società stava esportando azioni a basso costo dall’impianto di stoccaggio di Chiren a prezzi elevati e che le autorità di monitoraggio delle frodi erano state allertate. Fino ad oggi Bulgargaz ha negato le accuse ricevute, ma secondo fonti diplomatiche le infiltrazioni russe dovrebbero essere state decisive per giungere alla decisione finale.

Il ruolo della Bulgaria

Prima dell’avvio del gasdotto Tap e della bretella legata al Tanap, la Bulgaria riceveva l’88% del suo gas dalla Russia attraverso la rotta dell’Ucraina, senza avere accesso ad altre rotte del gas. Ma dopo l’avvento del cosiddetto Corridoio Meridionale del gas ecco che lo scenario è mutato per una serie di paesi, diventati così dei clienti in meno per la Russia. L’infrastruttura che collega i giacimenti del Caspio ai mercati dell’Europa occidentale se da un lato è a tutti gli effetti strategica per la sicurezza energetica, dall’altro taglia il cordone ombelicale con le forniture di gas provenienti dalla Russia. E quindi ne amplifica le possibili reazioni geopolitiche.

L’asse Atene-Sofia

L’interconnessione IGB tra Grecia e Bulgaria è fondamentale per la Bulgaria perché così verrebbe messa la parola fine sul monopolio del gas russo nel mercato bulgaro. L’IGB si collegherà al Tap, ma, dopo molti ritardi, la costruzione del gasdotto lungo 182 km è iniziata a maggio 2019 e secondo il contratto avrebbe dovuto essere completata entro la fine del 2021. Ad oggi invece i lavori non sono ultimati, perché il player che sta lavorando all’allacciamento, la società greca Avax, continua a chiedere proroghe: il rischio è che la nuova data del 1 luglio 2022 non venga rispettata. Ciò comporterebbe ancora degli esborsi da parte di Sofia per il gas e al contempo anche conseguenze geopolitiche prodotte da una mancata indipendenza energetica. Il partito nazionalista di opposizione Vazrazhdane ha accusato la Grecia di aver deliberatamente ritardato il lancio dell’interconnector, per via di alcuni legami che persistono tra Atene e Mosca.

Qui Ue

A rimarcare il ruolo niente affatto secondario della piattaforma energetica balcanica ci ha pensato anche il numero uno della politica estera dell’Ue Josep Borrell, secondo cui l’Unione europea sta negoziando possibili forniture aggiuntive di gas con Stati Uniti, Qatar e Azerbaigian nel caso in cui Mosca chiuda i rubinetti. Già dal dicembre 2020 l’Azerbaigian ha iniziato le forniture commerciali di gas all’Europa attraverso il Tap portando fino ad oggi 8,1 miliardi di metri cubi di gas in Europa.

Ecco però che si torna al punto di partenza, dove il ragionamento tocca il gasdotto Eastmed: nel novembre 2021 la Commissione Europea aveva deciso di inserirlo nel suo quinto elenco di Progetti di interesse comune, mentre adesso gli Usa hanno fatto marcia indietro. Pollice verso anche da parte degli ambientalisti, secondo cui stando ad un rapporto dell’organizzazione per i diritti umani Global Witness, se il gasdotto rimarrà operativo fino al 2050, avrà generato più gas serra di quanti ne emettono annualmente Francia, Spagna e Italia.

@FDepalo

(Foto: Mediateca TAP)

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