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Carlo Calenda ci sta provando in tutti i modi a strappare il biglietto vincente per accedere al ballottaggio. Anzi, per riprendere il suo posizionamento elettorale, si sta impegnando “sul serio” nel tentativo di incunearsi in quella fetta enorme di romani, che le ricerche demoscopiche stimano in un 40% dei cittadini, che ancora oggi non ha scelto se e chi votare.

Perché, saranno proprio i last minute voters capitolini i veri decisori delle sorti per la corsa al Campidoglio.

Nella sua campagna, la sola rispetto a quella degli altri candidati che ha unito con un giusto equilibrio contenuti tematici e incursioni “pop”, Calenda ha compreso più di tutti una cosa fondamentale, il primo e più importante mezzo di propaganda non è il manifesto o lo spot video, il post virale o il fac simile, ma è il candidato stesso: la sua storia, la sua faccia, il linguaggio e, in primis, il suo corpo.

Un corpo che è contemporaneamente mezzo e contenuto della campagna, un corpo che riesce a sfruttare funzionalmente i limiti della fisicità e dell’età, tanto da accogliere e trasmettere il messaggio identitario, l’orgoglio dell’appartenenza, il legame simbiotico e indissolubile a una cultura comunitaria da difendere perché è parte di noi, un messaggio da sempre racchiuso in quattro lettere: SPQR.

Ecco nel nuovo tatuaggio, il terzo almeno se contiamo quelli di cui ha parlato pubblicamente – ha già una “A” di Azione (presa dagli Avengers) e uno squalo – che Calenda si è fatto fare sul polso destro, postando immediatamente la foto sui social, c’è tutto questo.

C’è la necessità di rinnovare, a pochi giorni dal voto, il suo rapporto viscerale con la città, così come, c’è l’esigenza di accreditarsi come il solo difensore della romanità, c’è ancora il messaggio di sacrificare e sacrificarsi senza alcuna riserva pur di difendere la grandeur della Capitale.

Il corpo diventa improvvisamente il medium principale della campagna, il corpo che riesce ad amplificare e soprattutto rendere credibile, autentico e sintonico il messaggio che quelle quattro semplici ma pesantissime lettere riescono a recapitare nei confronti dei cittadini non contagiati dalla polarizzazione degli schieramenti.

Nella scelta, a prescindere se sia nata per istinto o per una visione strategica, del tatuaggio c’è però anche tanto altro. I significati sono diversi e trasversali e tra questi, forse quello più deflagrante in potenza, è nella percezione di un’orizzontalità che questo si porta dietro.

Infatti, il tatuaggio da un lato avvicina il candidato, o meglio l’uomo, ai tanti cittadini, alle decine di migliaia di romani che hanno scelto di fissare per sempre sulla loro pelle un momento o un affetto delle loro vite. Dall’altro, allontana e distingue Calenda da tutti gli altri candidati, dall’archetipo del politico e da quella visione verticale e gerarchica che alimenta la sfiducia e la disillusione nei confronti delle istituzioni e contribuisce a far crescere le sacche dell’astensionismo.

Può darsi, come scrive Carlo Calenda nel post Instagram, che la moglie Viola lo riempia di mazzate per questa “ingenuità” post adolescenziale, però è certo che tra qualche giorno, scopriremo se per la conquista di Roma val bene anche un tatuaggio.

Roma val bene un tatuaggio. Il rush finale di Calenda

Il corpo diventa improvvisamente il medium principale della campagna, il corpo che prova ad amplificare e soprattutto rendere credibile, autentico e sintonico il messaggio di una romanità e di una popolarità che spesso è stata “negata” a Calenda. Il commento di Domenico Giordano di Arcadia

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