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Il prossimo anno il Pentagono potrebbe trovarsi con 35 miliardi di dollari in più rispetto a quelli in dotazione nel 2021. È il frutto dell’incremento (leggero) previsto dall’amministrazione e di quello (più importante) in arrivo dal Congresso.

La richiesta presentata a maggio dall’amministrazione guidata da Joe Biden ammontava a 753 miliardi di dollari per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Per il Pentagono si prevedevano 716 miliardi, 11,3 in più rispetto all’anno in corso, sette in meno rispetto ai piani formulati da Donald Trump. L’aumento su base annuale sarebbe pari all’1,6%, pressoché come l’inflazione attesa. Sin dalla sua presentazione, la richiesta si preannunciava soggetta a forte dibattito all’interno del Congresso, con la previsione di modifiche considerevoli nel corso del complesso iter di approvazione parlamentare del National defense authorization act (Ndaa).

Come previsto, a far discutere sono stati i disinvestimenti pianificati sui sistemi “legacy” (-6%), che nella richiesta presentata dall’amministrazione colpiscono diversi grandi programmi per tutte le forze armate (più colpita la US Navy, superando il piano Battle 2045 proposta da Trump). Per Joe Biden e il capo del Pentagono Llyod Austin, il programma di disinvestimento è più che bilanciato dal forte incremento (+5%) delle dotazioni per ricerca, sviluppo, test e validazione (RDT&E), per cui si richiedono 112 miliardi. È la spinta all’innovazione che la Difesa Usa promuove da tempo, nella consapevolezza che la nuova “great power competition” si gioca soprattutto sulle tecnologie dirompenti: 5G, intelligenza artificiale, quantistica e cyber. Sostanzialmente, dunque, la richiesta puntava a ridurre i costi di approvvigionamento e manutenzione sui sistemi attuali, così da spingere sulla ricerca delle nuove tecnologie. Secondo gli esperti, ciò si potrebbe tradurre in una riduzione nel breve/medio termine della prontezza operativa, a favore del mantenimento del vantaggio tecnologico sul lungo periodo, a patto che i programmi di ricerca e sviluppo vengano poi rapidamente inglobati nel procurement di servizi e sistemi.

Tale prospettiva appariva da subito destinata a incontrare diverse resistenze al Congresso, lì dove gli interessi di forze armate e grandi industrie (per nulla disposte a vedere tagliati i programmi sui grandi sistemi d’arma) hanno maggiore capacità di influenza e pressione. Non a caso, a luglio, il comitato Armed services del Senato (a maggioranza repubblicana) ha approvato una bozza di Ndaa che aggiunge ben 25 miliardi di dollari alla richiesta dell’amministrazione, rimpinguando i vari programmi ridimensionati. Aggiunge (tra gli altri) sei F-35, un cacciatorpediniere di classe Burke, 130 milioni per i sottomarini balistici di classe Colombia, cinque F-15EX, due velivoli da trasporto C-130J e due tanker KC-130J.

A inizio settembre lo stesso è accaduto presso l’omologo comitato Armed services della Camera dei rappresentanti, che ha approvato una versione di Ndaa promossa dal leader dell’opposizione repubblicana Mike Rogers con 24 miliardi in più rispetto alla richiesta dell’amministrazione, tra cui 9,8 miliardi per il procurement di sistemi d’arma e 5,2 miliardi per ricerca e sviluppo (a testimonianza che, comunque, l’attenzione alle tecnologie disruptive in campo militare resta bipartisan). Proprio questa versione ha ottenuto il via libera dall’aula della Camera ieri, con 316 voti a favore e 113 contrari. A nulla sono valsi i tentativi dei democratici progressisti (i più determinati a bloccare l’aumento del budget), i cui emendamenti per evitare i 24 miliardi in più sono stati stoppati anche dai colleghi di partito.

A convincere la maggioranza dei dem ad appoggiare la proposta repubblicana sono stati soprattutto tre elementi: la condivisione dell’esigenza di potenziare lo strumento militare per il confronto con la Cina (tema, lo ripetiamo, bipartisan); la volontà di sostenere l’aumento degli stipendi per il personale della Difesa previsto da Biden (+2,7% da gennaio); le novità introdotte dopo l’epilogo drammatico dell’uscita dall’Afghanistan.

Nelle ultime settimane la questione afghana è intervenuto a gamba tesa sul dibattito alla Camera per il Ndaa. I repubblicani hanno proposto decine di emendamenti per contrastare quello che definiscono “il fallimento” della politica estera di Biden, con tanto di richiesta di informativa al Congresso sui dettagli del ritiro, obbligo di informare periodicamente Capitol Hill sui gruppi terroristici che potrebbero proliferare con il regime talebano, e creazione di una commissione parlamentare per affrontare il tema. Molte di queste proposte sono state appoggiate dai dem, e hanno contribuito a compattare il fronte dei favorevoli ai 24 miliardi in più.

Ora si dovrà attendere il Senato, impegnato nello stesso processo di elaborazione del Ndaa. Una volta che l’aula approverà il suo testo, inizieranno i negoziati tra i due rami del parlamento per arrivare a una versione sola entro la fine dell’anno fiscale. Considerando che la versione del comitato Armed services del Senato è molto simile a quella approvata dall’aula della Camera, non si attendono ormai particolari intoppi. Per il Pentagono di Lloyd Austin nel 2022 ci potrebbero essere 35 miliardi in più rispetto a quest’anno.

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