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Caso Garofani: la leggerezza del tecnico e il lato oscuro della politica imperiale. Su questa contraddizione si è giocata una partita che solo alla fine non ha prodotto guai maggiori. Ma solo inevitabili malumori poi in parte (ma chissà?) superati. Francesco Saverio non è solo uno dei tanti consiglieri del Presidente della Repubblica di turno. Con Sergio Mattarella esiste un’affinità politica culturale che dura da tempo. Elemento fondamentale di un rapporto che è qualcosa di più di una semplice relazione professionale. Come potrebbe essere quella con un qualsiasi consigliere di Stato o altro genere di commis d’etat.

Francesco Saverio è il segretario del Consiglio supremo di difesa, organo di rilievo costituzionale (art. 87 co. 9), la cui organizzazione è rinviata alla legge. Fu, infatti, costituito nel 1950 (legge n. 624), durante la guerra di Corea, nel timore di un possibile scontro diretto tra l’intero Occidente ed il blocco dei Paesi comunisti. Ma le sue modalità di funzionamento sono più volte cambiate nel tempo, in relazione all’evolversi della situazione internazionale. Sua caratteristica è la particolare densità politica delle sue funzioni. Al punto che la stessa tradizionale divisione dei poteri vede cede il passo ad una sinergia diversa tra i principali soggetti, che fanno parte dello “Stato profondo”.

Il Consiglio è presieduto dal Presidente della Repubblica, ma il presidente del Consiglio ne è il vicepresidente. Vi fanno parte di diritto i principali ministri (Difesa, Esteri, Economia) e il Capo di Stato maggiore della difesa. Vi partecipano inoltre il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, il segretario generale della Presidenza della Repubblica e il segretario del Consiglio supremo di difesa. Quest’ultimo, in particolare, ne è il motore organizzativo. Nominato dal Consiglio medesimo, su proposta del Presidente della Repubblica d’intesa con il presidente del Consiglio dei ministri, è responsabile della redazione del verbale delle riunioni e ha il compito di dare attuazione alle relative delibere. Per la prima volta non proviene dalle Forze armate italiane, ma è un ex parlamentare del Pd.

A seconda dell’ordine del giorno possono partecipare alle riunioni anche altri ministri, i Capi di stato maggiore di Forza armata, il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, il presidente del Consiglio di Stato, nonché ulteriori soggetti e personalità in possesso di particolari competenze in campo scientifico, industriale ed economico ed esperti di problemi militari. Il fine è quello di elaborare direttive che saranno poi vincolanti per il Presidente della Repubblica, il Consiglio dei ministri (e di conseguenza i singoli ministeri) e il comandante delle forze armate italiane, secondo le diverse aree di competenza.

Questo quindi il contesto normativo di una vicenda che, com’è noto, ha assunto venature farsesche: una riunione di amici, anzi di tifosi, una cena in un ristorante romano, il segretario del Consiglio che si lascia andare, come lui stesso dirà, a “chiacchiere da bar”. Ma chiacchiere in cui si esprimono giudizi pesanti sui suoi danti causa. In cui si ipotizza la necessità di intervenire per evitare che il suo vicepresidente, vale a dire Giorgia Meloni, possa aspirare, quando sarà, alla Presidenza della Repubblica. Fino a tratteggiare una strategia politica in cui sono citati coloro che non amano Elly Schlein (Ruffini e Prodi), che tuttavia, a suo dire, non sarebbero in grado di offrire un’alternativa. Per cui sarebbe necessario uno “provvidenziale scossone”.

Francesco Saverio ha sbagliato due volte. Dato il suo ruolo, non doveva parlare di argomenti così delicati. E se proprio non ne poteva fare a meno, doveva prima accertarsi di essere in un ambiente protetto: lontano da orecchie indiscrete. Soprattutto al di fuori della portata di eventuali spioni o servizi prezzolati. Non lo ha fatto e quindi le conseguenze sono state inevitabili. Con ogni probabilità quelle esternazioni sono state registrate, affinché non potessero essere successivamente smentite. Quindi trasformate in una “velina” inviata a diversi giornali. Finché La Verità non ha deciso di pubblicarla, sotto un titolo che chiamava direttamente in causa il Quirinale.

Il resto è cronaca recente. Da un lato la dura reazione di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia. Quindi la replica al vetriolo dell’Ufficio stampa della Presidenza della Repubblica. Infine la mossa di Giorgia Meloni che si reca da Mattarella per mettere fine all’incidente. In tutto questo, ha sorpreso ancora una volta il doppio standard della sinistra: pronta fa fare barricate contro Agostino Chiglia, membro dell’Ufficio del garante della privacy, accusato di aver superato la soglia della sede di Fratelli d’Italia, in un giorno infausto per Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, ma non una parola sul comportamento di Garofani. Anzi accuse rivolte nei confronti di chi aveva osato protestare.

Potrebbe finire qui, se non fosse per quel risvolto al quale ha accennato Fabrizio Cicchitto, in una recente intervista alla Stampa. Perché tutto esplode oggi e non quando quelle esternazioni erano state prodotte? Forse perché la situazione interna ed internazionale, nel frattempo, è cambiata? È oggi che si discute di un progetto di pace americano, per l’Ucraina, che non sembra convincere né Zelensky, né l’Europa. Ed ecco allora che, con ogni probabilità, la quinta colonna di Putin si è messa all’opera, chiamando a raccolta tutti i pacifisti d’ogni credo politico e religione. L’obiettivo è seminare zizzania. Possibilmente minare quel rapporto tra Giorgia Meloni e Sergio Mattarella che, proprio in questi giorni, sull’Ucraina, si è rinsaldato. Si chiama guerra ibrida, come lo stesso ministro Crosetto, ha avuto cura di illustrare nell’ultimo Consiglio supremo di difesa. Possibile che a non crederci sia proprio Garofani, che ne è il segretario?

Caso Garofani, una vicenda da non sottovalutare. La versione di Polillo

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