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Fin dall’antichità l’Europa è stata teatro di continui conflitti, caratterizzato da un’alternanza tra brevi periodi di pace e lunghe, complesse fasi di guerra. Dalla Guerra dei Trent’anni (1618-1648), che devastò l’Europa Centrale e diede vita al moderno sistema degli Stati nazionali, fino alle Due Guerre Mondiali (1914-1918 e 1939-1945), i conflitti più sanguinosi della storia umana si sono originati in Europa.

Dopo il crollo del Muro di Berlino abbiamo voluto credere che la Guerra Fredda fosse finita, che il rischio di un conflitto su larga scala fosse azzerato e che l’Europa potesse finalmente incassare il cosiddetto “dividendo della pace”. Le spese militari sono state drasticamente tagliate per finanziare il welfare o ridurre il debito. Investire in Difesa richiede capitali ingenti ed i risultati richiedono decenni. I politici europei, focalizzati sul ciclo elettorale di 4-5 anni, preferivano investire in settori che generano consenso più rapidamente (sanità, pensioni, infrastrutture). L’Europa ha così scelto, di fatto, di affidare la sua sicurezza di alto livello, cioè la deterrenza nucleare e la difesa contro un attacco massiccio, agli Stati Uniti tramite la Nato.

La nostra attenzione si è spostata su missioni di peacekeeping e gestione delle crisi (antiterrorismo, migrazioni), piuttosto che sulla Difesa territoriale e la guerra di manovra. Questo ha reso meno urgente per la politica e per i leader europei la necessità di comprendere a fondo le dottrine militari e la logistica di guerra. I partiti politici europei, specialmente a sinistra e al centro, considerano giustamente che l’uso della forza militare sia l’ultima risorsa, e privilegiano la diplomazia, le sanzioni e gli aiuti, per regolare le conflittualità nella politica estera. L’Ue ha valorizzato l’esperienza economica e regolatoria nei suoi vertici, ricchi di tecnocrati, banchieri ed avvocati, a scapito di esperti di intelligence o strategia militare.

L’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022 è stato un brutale “richiamo alla realtà”, che ha colto totalmente di sorpresa la politica europea, ma le ha anche dimostrato che non basta essere pacifici e desiderare la pace per averla garantita. Così molti Paesi, a partire dalla Germania, hanno annunciato significativi aumenti delle spese per la Difesa. La strategia di deterrenza e la logistica di guerra sono tornate al centro dei dibattiti politici, anche se la competenza di base in molti decisori politici rimane in fase di sviluppo.

Il dibattito politico sulla Difesa Europea si è aperto in questo contesto, ed è perciò penalizzato da superficialità, incompetenza e demagogia, che non permettono di mettere a fattor comune nemmeno i fatti oggettivi più banali. Il primo è che 23 dei 27 Paesi della Ue fanno parte dell’Alleanza Atlantica, hanno approvato nel vertice di Madrid del 2022 il concetto strategico che identifica le minacce e definisce la strategia di deterrenza e Difesa dell’Alleanza.

E’ ovvio dunque che qualsiasi discussione non può che partire da ciò che già è stato condiviso da quasi tutti, e che la Difesa europea non può che essere integrata e complementare alla Nato. Solamente chi è totalmente ignorante nella materia militare può immaginare di costruire la Difesa Europea fondendo le Forze Armate nazionali in un fantomatico ed inutile esercito europeo, immaginandolo pure alternativo alla Nato. Si tratta semplicemente di un’idiozia, tanto velleitaria quanto fuorviante. Ciò che serve davvero è una capacità comune europea, che si costruisce con una funzione stabile di comando e controllo comune, con l’addestramento comune e con il procurement comune dei mezzi necessari all’autonomia strategica europea.

L’Alleanza Atlantica impiega le Forze Armate nazionali senza alcun bisogno di unificarle, perché vengono adottate dottrine, procedure e standard operativi comuni e questo risolve anche il problema dell’interoperabilità, perché le Forze Armate nazionali della Nato sono già integrate ed abituate ad operare insieme. Manca invece la politica Estera europea, che è necessaria per decidere come, dove e quando impiegare le Forze Armate.

La domanda vera che ci dovremmo porre è se realmente crediamo possibile che tutti i Governi europei decidano unanimemente di modificare i trattati comunitari per condividere la politica Estera, rinunciando al contempo anche al diritto di veto attribuito dalla regola europea dell’unanimità, che paralizza le decisioni (cosa incompatibile con qualsiasi politica di Difesa). Chi sostiene che questa strada sia percorribile non ha i piedi per terra, oppure sta imbrogliando, per allontanare la possibilità concreta di ottenere l’autonomia strategica europea, seguendo l’unica via realmente percorribile, che è quella della cooperazione rafforzata tra i Paesi che vogliono e possono farlo. Si fece così anche per raggiungere l’obiettivo della moneta unica, perché altrimenti avremmo ancora la lira italiana, il marco tedesco, il franco francese, ecc…

Poi c’è la questione delle spese e del procurement militare. L’autonomia strategica è la capacità di difendersi ed operare autonomamente, senza bisogno di chiedere l’aiuto di nessuno. Ciò non significa compromettere le alleanze, ma essere degli alleati migliori, perché più capaci e più liberi, quindi anche più autorevoli e considerati dagli altri. Per farlo l’Europa ha bisogno di colmare le proprie lacune nelle cosiddette tecnologie abilitanti, come quelle satellitari, nelle comunicazioni, nella difesa missilistica dello spazio aereo e del proprio territorio, nelle capacità di trasporto militare, nella protezione delle proprie infrastrutture critiche e reti informatiche, anche sottomarine, nell’AI e nelle capacità di analisi di big data e di intelligence militare. Non serve essere esperti per capire che non si può spendere di meno per avere di più, e che l’accordo Nato per l’aumento degli investimenti nella Difesa è funzionale a raggiungere anche l’obiettivo dell’autonomia strategica europea.

L’Europa scopre di nuovo la guerra (e la propria fragilità strategica). Scrive Pagani

Di Alberto Pagani

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