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Il confine tra Thailandia e Cambogia è tornato a essere un fronte di guerra. Nelle scorse ore i due Paesi hanno infatti ripreso gli scontri armati, facendo vacillare il fragile cessate il fuoco mediato da Donald Trump lo scorso luglio.

La situazione sul terreno

A Bangkok, il governo ha confermato che le forze armate stanno portando avanti in pieno le operazioni pianificate, con l’appoggio politico del primo ministro Anutin Charnvirakul, che ha escluso qualunque dialogo con Phnom Penh e ha ribadito che l’esercito deve completare la missione. I comandi militari thailandesi hanno ammesso di aver preso di mira un complesso di casinò sul lato cambogiano della frontiera, sostenendo che veniva usato come posizione di fuoco e deposito di armi, mentre l’aeronautica ha condotto per il secondo giorno consecutivo raid contro quelli che definisce “obiettivi militari strategici”.

La Cambogia, dal canto suo, respinge ogni responsabilità e parla di un’aggressione partita da Bangkok. Il ministero della Difesa sostiene che le proprie truppe non abbiano avuto altra opzione se non reagire, accusando la Thailandia di aver bombardato in modo indiscriminato zone residenziali e causando la morte di nove civili nelle ultime ventiquattro ore. L’ex premier Hun Sen ha sostenuto che il suo Paese ha rispettato per un giorno intero la tregua per permettere l’evacuazione dei civili prima di passare al contrattacco. Il leader cambogiano ha anche definito la Thailandia una “forza invasiva” e ha ricordato che solide posizioni difensive e un sistema di bunker estesi garantirebbero alle truppe cambogiane un vantaggio nella guerra di logoramento.

Sul terreno, la situazione si è rapidamente estesa oltre i punti tradizionalmente contesi, coinvolgendo nuove aree lungo gli oltre ottocento chilometri di confine. Le ostilità si sono intensificate dalle alture boschive al confine con il Laos fino alla provincia thailandese di Trat, dove la marina di Bangkok afferma di aver avviato operazioni per respingere contingenti cambogiani penetrati oltre la frontiera. Nel frattempo, migliaia di civili su entrambi i lati stanno lasciando le proprie case. Alcune immagini mostrano lunghe colonne di motociclette e furgoni diretti verso l’interno, mentre un’esplosione a poche decine di chilometri dal confine ha sollevato una vasta colonna di fumo. In Thailandia, nella provincia di Buriram, gli sfollati dormono su stuoie allestite sotto grandi tende temporanee, in un’atmosfera sospesa tra rassegnazione e stanchezza. Molti erano già fuggiti una prima volta a luglio, quando un violento scambio di artiglieria aveva causato decine di morti e costretto alla fuga più di trecentomila persone.

Scarse prospettive diplomatiche

A rendere tutto più complicato è la totale assenza di un percorso negoziale. Il ministro degli Esteri thailandese Sihasak Phuangketkeow ha dichiarato che non vede alcuna possibilità di colloqui con la Cambogia nelle condizioni attuali e che non esistono margini per una nuova mediazione internazionale. Secondo Bangkok, il primo passo deve essere la cessazione delle ostilità da parte cambogiana, mentre Phnom Penh accusa la Thailandia di aver violato gli accordi raggiunti al vertice mediato da Trump, soprattutto dopo la decisione unilaterale di sospendere le misure di de-escalation lo scorso mese, una scelta motivata dall’esplosione di una mina che aveva ferito gravemente un soldato thailandese. Il governo di Hun Manet respinge però l’accusa di aver piazzato nuovi ordigni lungo la linea di frontiera.

Indocina, perché Bangkok e Phnom Penh tornano a combattere

Il conflitto tra Thailandia e Cambogia è tornato a infiammarsi dopo mesi di fragile calma, coinvolgendo regioni montuose, aree costiere e comunità civili già duramente colpite a luglio. Bangkok sostiene di colpire obiettivi strategici, Phnom Penh denuncia vittime innocenti e attacchi indiscriminati. E al momento nessuno dei due governi sembra disposto a sedersi al tavolo

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