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C’è chi va avanti, chi indietro. E chi rimane fermo, statico, ingessato. Quasi fosse prigioniero nella melma della stagnazione. Succede alla Cina, ai tempi degli scontri campali su dazi e terre rare. E della sovracapacità produttiva a spese degli altri, ovviamente. Una delle domande più ricorrenti in questi mesi è: ma come se la passa, per davvero, la seconda economia globale? Gli Stati Uniti sono sempre lì a macinare Pil, anche se l’inflazione è più che mai pronta a rialzare la testa e guastare la festa a Donald Trump. L’India corre e continua a tallonare il Dragone con una crescita stimata per fine 2025 al 6,5%. Chi arranca, sembra proprio essere l’ex Celeste Impero.

Un po’ di numeri. La Cina è entrata nell’ultima parte del 2025 con un motore che gira, ma sempre più a regime ridotto. La colpa? Un po’ di tutti: industria, consumi e l’immancabile mattone. A ottobre la produzione industriale, i consumi e soprattutto gli investimenti fissi hanno mandato un segnale chiaro: la seconda economia del mondo sta perdendo velocità proprio mentre Pechino insiste sulla narrativa della stabilizzazione e punta a centrare l’obiettivo di crescita annua intorno al 5%. La produzione industriale cinese è cresciuta a ottobre del 4,9% su base annua, un netto rallentamento rispetto al 6,5% di settembre e al di sotto delle attese degli analisti, che guardavano a un incremento intorno al 5,5%. Si tratta del ritmo più debole da oltre un anno, un segnale che la fabbrica del mondo sta iniziando a prendere colpi sia sul fronte interno sia su quello esterno.

Ancora più delicato è il quadro dei consumi interni. A ottobre le vendite al dettaglio sono salite appena del 2,9% annuo, in calo rispetto al 3% di settembre e al livello più basso da oltre un anno. Il dettaglio settoriale racconta una storia ancora più eloquente. Tra i beni durevoli, le vendite di auto sono scese di circa il 6–7% su base annua, interrompendo una sequenza di mesi positivi e deludendo le attese di una corsa finale in vista della fine di alcuni incentivi fiscali. Ancora più marcato il tonfo di elettrodomestici e apparecchiature audio-video, con cali nell’ordine del 14–15%. Insomma, qualcosa non quadra.

Un report di China briefing, uno dei più importanti e autorevoli incubatori di approfondimenti sul Dragone, prova a fare chiarezza. E il risultato è quello di una maschera che cade. “Gli indicatori cinesi di ottobre 2025 presentano un quadro più complesso. I dati di ottobre evidenziano un’economia che non sta accelerando, ma nemmeno sgretolandosi. La crescita rimarrà probabilmente moderata e alquanto disomogenea nei prossimi trimestri, frenata dall’attuale aggiustamento del mercato immobiliare e dalla debolezza degli investimenti privati. Per le aziende e gli investitori stranieri, la conclusione è chiara: la traiettoria a breve termine della Cina è definita da una crescita più lenta ma più stabile”. Tradotto, la Cina non sta sprofondando, ma nemmeno correndo. Semplicemente, vivacchia.

“I dati di ottobre sottolineano le notevoli pressioni che gravano sull’economia interna cinese”, si legge nell’analisi. “La spesa delle famiglie rimane contenuta, con vendite più deboli in diverse categorie di beni discrezionali. Sebbene i redditi stiano gradualmente aumentando e gli indicatori di fiducia si stiano stabilizzando, le famiglie rimangono selettive, soprattutto date le incertezze sulle prospettive occupazionali e sul valore degli asset”. Ma “il freno più persistente proviene dal settore immobiliare, dove gli investimenti continuano a contrarsi a tassi a due cifre. Il calo delle vendite immobiliari e i prezzi bassi stanno erodendo la ricchezza delle famiglie e compromettendo le finanze degli enti locali, complicando gli sforzi più ampi per sostenere gli investimenti e mantenere una crescita stabile. Finché la correzione del mercato immobiliare non si avvicinerà a un punto di minimo più netto, i settori legati al settore immobiliare e le condizioni fiscali locali continueranno a frenare la ripresa”.

Infine, la stessa struttura di crescita della Cina la espone alla volatilità esterna. “Un’economia ancora fortemente dipendente dalle esportazioni e dagli investimenti statali è vulnerabile quando le condizioni globali peggiorano o quando le tensioni commerciali si intensificano. La debolezza degli investimenti privati, frenata da un clima di cautela e dall’incertezza normativa, limita ulteriormente la capacità dell’economia di riequilibrarsi verso un’attività trainata dai consumi e dall’innovazione. Queste debolezze non indicano un’imminente instabilità, ma evidenziano i vincoli che la Cina deve affrontare nel tentativo di orientarsi verso un modello di crescita più sostenibile”.

Va bene, ma allora che succederà. Guardando al 2026, “i dati di ottobre mostrano investimenti immobiliari profondamente negativi, deboli investimenti privati in beni fissi e una visibile perdita di slancio nelle esportazioni e nella produzione industriale, il tutto in un contesto di elevata incertezza globale. Senza un sostegno più forte alla domanda delle famiglie e una risoluzione più chiara della correzione immobiliare, molti analisti prevedono un ulteriore rallentamento della crescita verso la fascia media del 4% nel corso del prossimo anno”.

Dunque, secondo il report, “in questo contesto, le scelte politiche saranno decisive. Per evitare un rallentamento più pronunciato e orientare l’economia verso una base più sostenibile, il governo dovrà rafforzare i redditi delle famiglie e la rete di sicurezza sociale per incoraggiare i consumi, aprire ulteriori segmenti dei settori dei servizi e dei servizi di produzione alla partecipazione privata e straniera e continuare a ridurre la forte dipendenza dell’economia dal settore immobiliare e dagli investimenti alimentati dal debito, utilizzando al contempo misure fiscali e creditizie mirate per sostenere le piccole e medie imprese e le economie regionali più deboli”. Xi Jinping avrà preso nota?

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