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Tutto come previsto. In un clima politico attraversato da scosse solo apparenti, le elezioni regionali in Veneto (ancora al centrodestra con Alberto Stefani), Puglia (ancora al centrosinistra con Antonio Decaro) e Campania (al centrosinistra a Roberto Fico) hanno restituito un quadro che, più che ridisegnare gli equilibri, li conferma. Il voto, segnato da un’affluenza bassa e da una certa assuefazione degli elettori, racconta un Paese in cui tradizione e prudenza pesano ancora più della ricerca del nuovo. Per capire che cosa ci dicono davvero queste urne e come cambiano — o non cambiano — gli scenari nazionali, Formiche.net ha intervistato Nicola Piepoli, tra i più autorevoli sondaggisti italiani. Il suo sguardo, netto e disincantato, ci accompagna dentro una consultazione che, come lui stesso afferma, “si è svolta nella normalità dell’assenza dell’elettorato”.

Piepoli, partiamo dal quadro generale: che cosa emerge da queste elezioni regionali?

Emerge un quadro fatto soprattutto di conferme. Siamo arrivati al redde rationem, e ciò che vediamo è la stabilità: una regione al centrodestra e due al centrosinistra. È un risultato che rientra pienamente nella fisiologia del Paese.

Questi risultati possono avere un impatto sul governo centrale?

Assolutamente no. Non c’è alcun impatto. La gente è legata a questo governo, che ha dimostrato di governare con saggezza. Oggi ciò che conta è la prudenza, e questo governo si sta comportando bene. Gli elettori lo percepiscono.

Lei ha più volte parlato del ruolo di Forza Italia. Come vede il partito di Tajani in questo scenario?

Forza Italia è potenzialmente il primo partito, perché rappresenta la nuova Democrazia Cristiana. E quindi, automaticamente, potrebbe essere il primo partito italiano. Ma ora le manca lo slancio per essere davvero un partito di massa. Non è ancora ben strutturata sui territori. Ha però le idee giuste, quelle che piacciono alla massa degli italiani. Idee che oggi sono ospitate da Fratelli d’Italia, ma che potrebbero tranquillamente passare a Forza Italia se avesse un leader con il carisma di Meloni. Tajani è un grande uomo, ma serve un passo ulteriore.

Puglia e Campania confermano la loro tradizione di centrosinistra. Perché?

Vincono per abitudine, per forza naturale. È così da tempo. Nel Sud il nuovo è percepito come rischioso: c’è una diffidenza strutturale verso ciò che appare incerto. E questo si riflette nelle urne. È un’espressione tipica dell’elettorato meridionale.

Veniamo al Veneto: una regione che resta al centrodestra. Che lettura dà?

Il centrodestra vince dove è strutturato, e il Veneto ne è l’esempio. La Lega qui ha radici forti, storiche. Certo, il partito deve inserirsi meglio nel tessuto nazionale, avere una presenza più omogenea. Ci sono territori che non l’hanno mai accettata e continuano a non farlo. Ma in Veneto il radicamento resta decisivo.

Questi risultati rappresentano una boccata d’aria per il centrosinistra?

Per il centrosinistra sì, è una bella conferma. Ma attenzione: Giorgia Meloni è ben salda al suo posto. Il quadro nazionale non cambia.

Lei ha parlato della “normalità dell’assenza dell’elettorato”. Che cosa significa?

Significa che questa è stata un’elezione normale, ma segnata da un’assenza enorme. Gli elettori si sono dimenticati che siamo in democrazia. Bisogna risvegliarli. Senza partecipazione, anche la migliore delle democrazie perde senso.

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