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Fiato corto, gambe pesanti. La Cina mostra al mondo intero il suo lato più fragile, fatto di debito, grandi industrie in difficoltà e scarsa fiducia dei mercati. Senza dimenticare il sostanziale fallimento della strategia zero-Covid. Se il 2021 si era chiuso all’insegna delle perplessità verso l’economia del Dragone, non si può dire che il 2022 sia iniziato nel migliore dei modi. Ancora una volta sono i numeri a smentire la narrativa dell’invincibile Cina.

Nel corso del 2021, il prodotto interno della Cina è cresciuto dell’8,1%, ben oltre il target di crescita fissato dal governo di Pechino, pari a una espansione del 6%, e oltre anche le previsioni di diversi economisti. Questa potrebbe sembrare una buona notizia. Ma l’evidente rallentamento del Pil cinese nel quarto trimestre dello scorso anno getta luce sui problemi più recenti: con un +4% su base annua – sebbene superiore al +3,6% atteso – è il ritmo di crescita più lento in un anno e mezzo.

Ma il Pil non è l’unica spia di allarme rosso. Come raccontato da Formiche.net, anche i consumi mostrano segni di fatica. La prova è nel fatto che sempre nel quarto trimestre dello scorso anno le vendite al dettaglio hanno mancato le aspettative e sono cresciute dell’1,7% a dicembre rispetto a un anno fa. Il mercato si aspettava un +3,7%. Un dato inevitabilmente condizionato dalle misure contro il coronavirus in diverse parti del paese, comprese le città di Xi’an e Tianjin, dove si è tornati ai lockdown di inizio 2020. “Dobbiamo essere consapevoli che l’ambiente esterno è più complicato e incerto e l’economia interna è sotto la triplice pressione della contrazione della domanda, dello shock dell’offerta e dell’indebolimento delle aspettative”, ha ammesso in una nota l’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino in una nota.

Questo, ma non solo, ha spinto People’s Bank of China, la banca centrale, ad abbassare il tasso sui suoi prestiti assicurativi a un anno di 10 punti base al 2,85%, anche in scia ai problemi del mercato immobiliare e alla recrudescenza del Covid. Si tratta del primo taglio al tasso di interesse chiave in quasi due anni, dall’aprile 2020. Eppure, il nemico più temibile, perché più strisciante, sembra essere in realtà un altro: l’inflazione. Nemmeno la Cina è immune al rincaro delle materie prime che sta progressivamente mandando ko interi sistemi industriali, incluso quello italiano.

La situazione in Cina è grave al punto che molte aziende starebbero pensando di delocalizzare per cercare di comprare a prezzi minori. Le parole del vicepresidente della Pboc, Liu Guiping, non vanno affatto sottovalutate: “l’impatto del Covid ha accelerato il cambiamento nella distribuzione globale della produzione. Oltre all’influenza delle contese geopolitiche, i settori industriali cinesi stanno affrontando una doppia pressione: le industrie si spostano nel sud-est asiatico e tornano nei paesi sviluppati”.

Cina

La Cina col fiatone, tra inflazione e costo delle materie prime

Nel 2021 la crescita cinese ha superato le attese del governo ma il 4% nel quarto trimestre è un campanello d’allarme, legato ai lockdown da zero-Covid e alle difficoltà del settore immobiliare. Ma c’è un altro guaio: le materie prime costano troppo e le imprese sono pronte a spostarsi

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