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Le percentuali sono da capogiro anche in Italia, ma i numeri assoluti che vengono dagli Stati Uniti lo sono ancora di più. Il fenomeno del Great Resignation – secondo il termine suggerito da Anthony Klotz, professore di Management nel Texas – ha fatto registrare 4,5 milioni di dimissioni volontarie nel corso del 2021, negli Usa. In Italia sono qualche decina di migliaia, ma la tendenza percentuale è senza precedenti: un aumento del 37% nel secondo trimestre 2021 rispetto al trimestre precedente e addirittura dell’85% sul secondo trimestre del 2020.

Qualche analista ha cominciato a cercare spiegazioni. Giustamente. Il fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro è senza precedenti. Figlio del Covid? In qualche senso sì. C’è sicuramente una componente che deriva dalla contingenza, che si tratti del burnout da isolamento, o che si tratti – nel caso italiano – del combinato disposto tra cassa integrazione Covid e Reddito di cittadinanza.

Ma è facile scommettere che si tratti di qualcosa di più, collegato a un generale “fenomeno di riallocazione dei lavoratori”. Ancora più stridente è la sensazione di voler affrontare questa crisi – che riguarda il lavoro, sia sul breve che sul lungo termine, che attraversa la crisi demografica e si proietta sulle criticità del sistema previdenziale – con la “solita cassetta degli attrezzi”. Un tavolo a Palazzo Chigi, uno sciopero generale, un vertice con le organizzazioni sindacali. C’è un senso di inadeguatezza e di emergenza che dovrebbe essere affrontato con il coraggio di chi si avventura in “terra incognita” come avrebbe detto qualche anno fa Giulio Tremonti.

Un “report” di pochi mesi fa, redatto da Microsoft, afferma che il 40% delle persone sta pensando di dimettersi dal lavoro attuale. Non tutti potranno farlo. Ma con ogni probabilità a riuscirci saranno i più talentuosi: quelli che alle aziende costa di più perdere. Il report di Microsoft parla di un vero “sommovimento motivazionale” che sta colpendo soprattutto la generazione Z (più o meno i nati tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio), entrata in un mondo del lavoro privato del contatto umano. Ma in generale molti lavoratori durante il lockdown sono stati costretti a misurare il “valore” esistenziale del loro lavoro, e in parte hanno toccato con mano che buona parte del loro contributo poteva essere “remotizzato”, allontanato dal luogo della condivisione, del confronto, della formazione continua, dell’empatia.

Per chi ha lavorato da remoto sono spariti i tempi morti, che erano quelli che potevano essere creativi e ri-creativi. Per molti altri l’agenda si è trovata drammaticamente vuota, perché l’intermediazione che spesso giustificava la loro funzione è venuta meno con le opportunità offerte dalla digitalizzazione.

In altri casi si è toccato con mano l’isteria dei meeting, incrociata all’ossessione da connessione con lo smartphone. Lo diceva poco tempo fa Brunello Cucinelli, nel corso di un seminario sul lavoro e sul management, facendo notare che ormai nelle riunioni non si contano più i partecipanti che mentre sono presenti chattano o comunque rispondono o inviano messaggini.

E’ tempo per affrontare una profonda riorganizzazione del lavoro, e per misurare da vicino gli effetti delle tecnologie digitali e di ogni soluzione innovativa. Tempo e luogo di lavoro non sono più destinati a sovrapporsi, obiettivi e competenze si possono raggiungere e manifestare in differita. E’ il tempo del merito e di qualche stress che si deve imparare a gestire: la componente psicologica del benessere personale e di gruppo di lavoro (i team resistono anche a distanza) diventa sempre più importante.

Si alza l’asticella della sfida e dell’impegno. C’è chi preferisce sottrarsi e andare via. Quindi sempre più c’è chi deve essere supportato, accompagnato, motivato. I vecchi strumenti della relazione aziendale non funzionano più, sia che si tratti della sindacalizzazione, sia che si tratti del paternalismo imprenditoriale o del cinismo manageriale. Di certo non bastano più i rituali della sala verde di Palazzo Chigi.

Tra Brunello Cucinelli e la "Great Resignation". Il nuovo mondo del lavoro

Il fenomeno delle dimissioni di massa e l’isteria da meeting, citata dall’imprenditore umbro (qui il video), ci fanno capire che è tempo per affrontare una profonda riorganizzazione del lavoro, e per misurare da vicino gli effetti delle tecnologie digitali. Affrontando anche le conseguenze psicologiche. Il punto di Antonio Mastrapasqua

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